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KADEK |
Kongra Azadî û
Demokrasiya Kurdistan
Kurdistan Freedom and
Democracy Congress Congrès pour la
Démocratie et la Liberté du Kurdistan |
Roadmap per
una soluzione pacifica e democratica
della
questione kurda in Turchia
La
Turchia e il Kurdistan hanno sofferto molto a causa delle guerre. Nel corso
degli ultimi trent’anni, diecimila persone hanno perso la loro vita e tutti i
segmenti della società: destra, sinistra, islamismi, laici, alevi e kurdi, hanno
preso parte al conflitto.
La
Turchia ha un urgente bisogno di stabilità politica e sociale, ma non ha ancora
trovato una soluzione democratica per il problema kurdo e per questo la crisi e
l’atmosfera di conflitto permangono.
Il
conflitto tra lo stato turco e il popolo kurdo, che dura da ottant’anni, ha
richiesto un grande sacrificio da parte di entrambe le parti, ma nessuno, né lo
Stato né il popolo kurdo, ha ottenuto da questa guerra un risultato
concreto.
Riconoscendo
che l’abnegazione, la repressione e la ribellione non hanno potuto risolvere i
problemi esistenti, il 2 agosto 1999, il Presidente Apo e il nostro movimento
hanno deciso di dare il via ad un nuovo processo per aprire la strada ad una
soluzione pacifica e democratica della questione kurda; per questo, dal 1
settembre 1999 in poi, abbiamo quindi trasferito le nostre forze fuori dai
confini della Turchia, al fine di creare un’unione libera e democratica con
l’appoggio di altre realtà democratiche esistenti in
Turchia.
Allo
scopo di spiegare i nostri intenti ed avanzare suggerimenti per una soluzione
pacifica e democratica del problema, abbiamo anche pubblicato e diffuso una
serie di dichiarazioni: il Progetto di pace del 20 gennaio 2000, il Piano
d’azione urgente per la pace e la democrazia del 4 novembre 2000, la Richiesta
urgente contro la guerra del 19 giugno 2001, la Dichiarazione urgente di pace
del 22 novembre 2002, nonché l’ultima Dichiarazione di pace del 15 aprile
2003.
All’inizio dell’anno 2000 prima e alla
fine del 2002 poi, abbiamo inviato una lettera al Presidente, al Primo Ministro,
al Capo del Parlamento, al Capo di Stato Maggiore e ai capi di tutti i partiti
politici di Turchia per esporre il nostro pensiero circa una possibile soluzione
della questione kurda; attraverso tutti i media abbiamo continuato ad
enfatizzare il nostro favore per una risoluzione di fratellanza entro i confini
turchi, evidenziando la nostra volontà di risolvere i problemi con il governo e
la società.
Prestando
fede alla nostra decisione, a partire dal 2 agosto 1999, non solo abbiamo
fermato le nostre azioni armate ma abbiamo anche cercato, attraverso ragionevoli
suggerimenti e proposte, di giungere ad una pace reale, facendo tutto ciò che
era in nostro potere per creare un’atmosfera favorevole alla conclusione del
conflitto. Sebbene ancora in modo insufficiente, in alcune parti della Turchia,
si sono avuti segnali di distensione e la qualità della discussione sulla
necessità di risolvere la questione kurda è migliorata, emergendo anche a
livello d’opinione pubblica. È diventato evidente che è primario che lo stato
faccia dei passi avanti a riguardo.
Tuttavia,
sebbene nel 2002 siano stati fatti dei limitati passi avanti, le decisioni prese
non sono state attuate, al contrario la repressione è aumentata e le operazioni
militari sono diventate continue.
Al
momento attuale, quando la società kurda si sente pronta per una soluzione,
quando le condizioni della Turchia possono considerarsi mature per attuare veri
passi in avanti, quando gli sviluppi regionali esigono ancora di più una
risoluzione della questione kurda, insistere sulla mancanza di soluzione
significa mettere fine ad un cessate il fuoco durato quattro
anni.
L’ultima
Legge sul Pentimento, finalizzata di fatto all’eliminazione del KADEK ha
significato la fine del processo di pace, dato che, in realtà, essa rappresenta
chiaramente un attacco alle nostre forze. Inoltre, le recenti relazioni tra la
Turchia, l’Iran e la Siria sono ancora basate sulla repressione del popolo
kurdo, oltre che essere finalizzate alla soppressione del nostro
movimento.
Lo spiegamento di truppe turche in Iraq
usato come strumento affinché gli USA attacchino militarmente il KADEK ed i suoi
guerriglieri è un altro segno che la Turchia preferisce il conflitto invece che
risolvere la questione kurda.
Questo
fatto, unito al recente aumento del livello di repressione contro la popolazione
civile, mostra chiaramente che si sta conducendo, nei confronti del nostro
movimento, una politica fatta di minacce e di ricatti. È chiaro che la
Turchia vuole farci capire che non accetta nessuna soluzione diversa dalla
nostra resa definitiva.
È di pubblico
dominio che noi abbiamo numerose volte messo in guardia nei confronti di un
simile approccio; nei suoi messaggi dall’isola di Imrali e nella sua lettera al
governo, il nostro Presidente Abdullah Ocalan ha ricordato che devono essere
fatti dei passi in avanti per trovare una soluzione della questione kurda,
altrimenti la missione di pace che per tanto tempo, è stata portata avanti dovrà
essere considerata un fallimento.
Per
cercare di sostenere gli sforzi del nostro Presidente, per raccogliere i frutti
della pace, ad aprile di quest’anno abbiamo pubblicato la nostra “Dichiarazione
per una via d’uscita all’impasse della Turchia” e abbiamo avanzato proposte per
una soluzione complessiva.
Abbiamo
anche reso nota la nostra contrarietà nei confronti della Legge sul Pentimento,
evidenziandone il carattere provocatorio e domandando insistentemente una legge
per la pace sociale e la partecipazione democratica. Attraverso la nostra
campagna per la pace sociale e la partecipazione democratica durante giugno e
luglio, ci siamo sforzati di mettere un freno agli sviluppi negativi e abbiamo
cercato di promuovere la riconciliazione, alimentati dal nostro senso di
responsabilità verso tutta la popolazione di Turchia, senza distinzioni tra
turchi e kurdi. Nonostante questo non abbiamo ottenuto nessuna risposta
responsabile.
L’insistenza
del governo a mantenersi fermo sulle sue posizioni ha reso insignificante il
cessate il fuoco, avviato nel tentativo di ottenere la pace. Non è del resto
giunto un minimo segno che ci possa incoraggiare a continuare il cessate il
fuoco.
Ci
siamo impegnati unilateralmente per la pace e per la soluzione e ci siamo
battuti per creare le condizioni di un cessate il fuoco bilaterale, anche se
fino ad ora non è arrivata nessuna risposta ufficiale circa la nostra decisione
di deporre le armi. Sebbene i nostri sforzi abbiano creato le condizioni per un
leggero miglioramento della situazione, gli stessi non hanno consentito di
evitare la tensione e gli scontri.
È
evidente che, a questo punto, dobbiamo rivedere la posizione che abbiamo assunto
durante gli ultimi quattro anni, in un’atmosfera in cui un cessate il fuoco
unilaterale non ha più alcun senso. È necessario che giochiamo il nostro ruolo
storico per il raggiungimento della pace e della democrazia. L’accettazione
della negazione e della repressione, e la trasformazione in meri spettatori
delle politiche che si attuano contro i popoli di Turchia, sono fuori
discussione.
Il
cessate il fuoco unilaterale che abbiamo mantenuto dal 1999 ha in qualche modo
giocato il suo ruolo. Se ci fossero state le condizioni perché mantenesse la sua
funzionalità, l’avremmo proseguito anche nel futuro. Sfortunatamente, lo stato
turco, con la sua mentalità e con il suo comportamento di repressione, ha
considerato la nostra decisione di deporre le armi come un’opportunità per
annientare le forze democratiche, invece che sfruttarla come un’occasione di
democratizzazione. Come si è potuto vedere in questi ultimi mesi, abbiamo
cercato in tutti i modi di evitare scontri e aggressioni sia politiche, sia
militari, nei nostri confronti e per prevenire nuovi attacchi contro di noi e
per evitare la morte dei nostri combattenti, siamo dovuti ricorrere alla sola
arma della legittima difesa. I toni bassi del conflitto sono dipesi dalla nostra
determinazione a lavorare per la pace e per la soluzione pacifica del conflitto,
nell’attesa che qualche passo in avanti venisse compiuto.
Tutto
questo porta alla considerazione che il cessate il fuoco unilaterale dichiarato
da parte nostra è terminato. È lo stato turco a rendere questo cessate il fuoco
privo di senso e a porvi fine, continuando ad attuare politiche repressive nei
nostri confronti. È chiaro che un cessate il fuoco non può essere mantenuto se
non viene mantenuto da entrambe le parti.
Le
politiche di annientamento e negazione da parte dello stato oligarchico, nonchè
l’esperienza vissuta negli ultimi quattro anni, ci hanno dimostrato che
l’instaurarsi e il mantenersi di un cessate il fuoco bilaterale è possibile solo
tramite una roadmap utile a negoziare accordi che possano essere attuati
gradualmente ed accettati da entrambi i lati.
È
divenuto chiaro come, senza una simile prospettiva, non sussistano più motivi
pratici o politici per il mantenimento del cessate il fuoco.
La
tregua, durata quattro anni solo grazie ai grandi sacrifici che abbiamo
affrontato, e il cessate il fuoco, mai accettato ufficialmente, hanno
rappresentato, dopo quindici anni di cieco conflitto, un’importante possibilità
di svolta per la Turchia ma dato che non vi è stato alcun cambiamento politico e
di mentalità, continuare su questa strada è divenuto
impossibile.
Tenendo
a mente ciò e con sentimento di responsabilità storica, abbiamo preparato una
roadmap da presentare, per cominciare, allo Stato turco e poi a tutte le altre
parti interessate.
Tenendo
in considerazione i seri problemi della Turchia e gli sviluppi regionali,
riteniamo inevitabile attuare una roadmap in tre fasi, a partire dal primo
settembre 2003 fino al primo settembre del 2004. Pensare di affrontare il
problema gradualmente in un anno ci sembra un approccio ragionevole. Inoltre,
dato che le trattative per entrare nell’UE inizieranno alla fine del 2004,
seguire una tale roadmap potrebbe facilitare l’ingresso della Turchia
nell’UE.
Oggi,
le condizioni per l’attuazione di una roadmap sono più mature che
mai.
Mantenere
il problema irrisolto, ogni giorno che passa, accresce sempre di più la
possibilità di una ripresa dei combattimenti e il rischio di nuovi scontri, che
cancellerebbero ogni possibilità di soluzione e porterebbero ad un escalation
del conflitto. Questa roadmap ridurrà le tensioni e fornirà le possibilità e il
tempo per la soluzione della questione.
Per
questo:
Bisognerà
portare a compimento una serie di passi per raggiungere il cessate il fuoco
bilaterale. Questo processo dovrebbe iniziare il primo settembre 2003 e
completarsi entro il primo dicembre 2003.
In
primo luogo e prima di tutto dovrebbe esserci un dialogo tra le due parti
riguardo alla roadmap e per la creazione di un Comitato per la pace e il
dialogo che si occupi di seguire le modalità di attuazione della roadmap.
Questo Comitato dovrebbe essere formato da rappresentanti delle organizzazioni
civili, dei partiti politici e da intellettuali, artisti e personalità
democratiche. È fondamentale che le attività del Comitato vengano sostenute e
promosse dallo stato.
Il
Comitato dovrebbe favorire l’incontro tra le parti; consentire una continuità
nel dialogo, con lo scopo di assicurare la reciproca comprensione; definire le
varie fasi della roadmap; intervenire per risolvere nel momento appropriato
problemi e spaccature. Inoltre, il Comitato per la pace e il dialogo
dovrebbe instaurare relazioni con le istituzioni rappresentative dell’opinione
pubblica ed incoraggiare le stesse a partecipare al processo da una parte e a
favorire il dialogo e la pace fra le parti, fortificandone il terreno
dall’altra. Dovrà inoltre mantenere un contatto regolare con la stampa, affinché
dimostri la sua responsabilità e il suo ruolo al riguardo e perché siano
condotti adeguati sforzi per
preparare appropriatamente l’opinione pubblica.
Il
Comitato deve lavorare a livello permanente fino alla piena attuazione della
roadmap e fino a che la pace e la soluzione della questione kurda non vengano
raggiunte.
La
tappa più urgente è la trasformazione della precedente tregua unilaterale in un
cessate il fuoco bilaterale e per questo e passi che entrambe le parti devono
intraprendere sono:
da
parte dello Stato
1)
le
operazioni militari devono essere fermate, perché aprono la strada, senza alcun
via d’uscita, a scontri ed azioni di rappresaglia. Le operazioni militari,
aprendo la strada agli scontri, giocano un ruolo che determina mancanza di
fiducia e rompe la posizione di cessate il fuoco sabotando la linea di pace. La
mancanza di fiducia non si crea solo nelle forze guerrigliere ma anche nel
popolo. In molti ambienti è stata avviata un percorso di antipropaganda che
indebolisce la fiducia nella soluzione democratica e pacifica della
questione;
2)
il
sistema delle guardie di villaggio, prodotto del tempo della guerra, deve essere
smantellato. Anche durante il periodo del cessate il fuoco, le guardie di
villaggio, che sono state utilizzate come mezzo di pressione contro la
popolazione, hanno avuto la funzione di portare il cessate il fuoco ad essere
insignificante. Per questo pensiamo che la mancata eliminazione del sistema
della guardie di villaggio corrisponda ad una mancanza di volontà a porre fine
alla guerra condotta contro di noi. La tirannia delle guardie di villaggio
indebolisce la fiducia della popolazione nel cessate il fuoco e nella
prospettiva di una soluzione pacifica della questione kurda, rafforzando al
richiesta popolare di una ripresa delle attività della nostra guerriglia per
porre fine ai comportamenti oppressivi delle guardie di villaggio. Crediamo che
debbano essere adottate misure economiche e sociali che consentano lo
smantellamento del sistema delle guardie di villaggio, bisogna porre fine alla
loro posizione di malviventi in Kurdistan;
3)
uno dei
risultati più gravi del conflitto è stato la migrazione forzata dai villaggi.
Per allontanare dalla cultura della guerra, abbassare il livello della tensione
e per un cessate il fuoco affidabile, per quanto riguarda il ritorno ai villaggi
bisogna avere una forte volontà ed adottare le misure amministrative,
economiche, legali e sociali necessarie. Lo stato su questo tema deve assumere
un ruolo semplificativo e stimolante;
4)
si
devono ritirare dal Kurdistan le forze operative come le Squadre speciali e le
Forze speciali di polizia. Non deve restare alcuna forza di sicurezza se non le
normali unità di polizia, la gendarmeria e l’esercito regolare. Si è visto che
dopo il terremoto che ha distrutto la città di Bingol, le forze speciali hanno
assunto comportamenti di chiusura nei confronti della popolazione locale,
attaccando i civili per ogni minimo pretesto. La presenza delle forze non
allenta la tensione e contribuisce alla continua sfiducia tra la popolazione.
Dato che le forze d’assalto risalgono al periodo della guerra e sono quelle che
hanno portato avanti le operazioni della guerra speciale, la loro esistenza è
contraria al cessate il fuoco, essendo viste dalla popolazione come segno di
guerra imminente. Se queste non verranno ritirate, è molto difficile arrivare ad
un cessate il fuoco bilaterale;
5)
le
bande irregolari ed extra legali che vengono usate nella guerra psicologica e
speciale devono essere disciolte perché, traendo profitto dalla guerra possono
svolgere atti provocatori. Nel caso che queste bande continuino ad esistere è
naturale e chiaro che guerriglieri e popolazione possano credere che non ci sia
volontà di costruire la pace. L’esistenza di queste forze, durante il cessate il
fuoco, che sono state attori del persistere della guerra sporca e speciale, è un
fattore importante per porre fine e togliere senso al cessate il fuoco. Mentre
le operazioni militari sono state tenute sotto controllo nel corso del tempo,
queste squadre non hanno mai smesso la loro attività. Per questo nell’ambito di
un cessate il fuoco bilaterale. Le stesse devono essere disciolte e ai loro
membri deve essere proibito l’ingresso in Kurdistan. Fra l’altro queste giocano
un ruolo che deteriora lo stato e sono diventate un peso per lo stato
stesso;
6)
preparare
l’opinione pubblica alla risoluzione del problema e creare una cultura di pace,
sono fattori fondamentali per la riuscita del processo. Se non c’è
antipropaganda, non abbiamo dubbi che anche la popolazione turca vorrà una
soluzione in termini d’unità. La popolazione kurda è pronta per una soluzione
genuina del problema. Per questo il governo dovrebbe portare sulla linea di
questa responsabilità tutte le istituzioni dello stato.
7)
lo
stato non deve porre in nessun modo ostacoli alle attività legali e riconoscere
come diritto democratico ogni attività democratica
legittima.
da
parte del KADEK e delle sue forze guerrigliere
1)
deve
fermare totalmente le sue attività militari e mantenere la sua attuale
posizione. Nessun gruppo di guerriglieri deve entrare in Turchia. Se non
attaccate, le forze non devono prendere le armi e devono posizionarsi in modo
tale da non far sentire la propria esistenza. Non devono scendere nelle città,
nei villaggi e nelle province.
2)
nell’attività
di propaganda e stampa non deve adottare posizioni che incitino alla guerra o
contro lo stato. Deve condividere la pace con la popolazione della Turchia,
comportarsi in modo da non svolgere alcuna attività contro la Turchia e
difendere l’unità politica della Turchia. Le trasmissioni televisive e
radiofoniche e le pubblicazioni, non devono avere altro scopo che contribuire
alla democratizzazione della Turchia e difendere i diritti naturali del popolo
kurdo, seguendo una linea di trasmissione che dia fiducia al popolo della
Turchia.
3)
deve
realizzare azioni popolari che siano totalmente in ambito democratico e che non
portino all’esaltazione.
Deve
essere quella dell’adozione di misure di accrescimento della fiducia, come
passaggio pratico verso la soluzione.
Da
parte dello Stato
1)
la
questione kurda dovrebbe essere considerata come una questione chiave per la
democratizzazione.
2)
tutte
le restrizioni alla libertà di parola e d’organizzazione dovrebbero essere
abolite e dovrebbe essere consentita una libertà d’azione politica. Queste
libertà dovrebbero essere totalmente riconosciute per tutte le questioni
riguardanti il problema kurdo. La possibilità di esprimere liberamente le
proprie opinioni, la libertà di organizzazione, così come quella di impegnarsi
politicamente, sono fattori chiave per la creazione di una situazione in cui non
sussistano ragioni per la presenza di forze
armate.
3)
dopo
aver raggiunto quanto previsto al punto 2 dovrebbe essere approvata una legge
per la pace sociale e la partecipazione democratica. Con questa legge dovrebbe
essere consentito a tutti i membri della guerriglia, ai prigionieri politici e
agli esiliati la partecipazione incondizionata alla vita politica democratica.
Per questo, tutti i loro diritti politici, civili e sociali dovrebbero essere
reintegrati e dovrebbero essergli cancellate tutte le
imputazioni.
4)
secondo
quanto disporrà la legge per la pace sociale e la partecipazione democratica, in
questa fase. Le relazioni del nostro leader Abdullah Ocalan con il mondo
esterno, le sue condizioni di vita e di salute dovrebbero essere nuovamente
regolate e i suoi legali e parenti dovrebbero essere liberi di fargli visita.
Dovrebbe essere facilitata la divulgazione al pubblico dei suoi pensieri, che
contribuiscono alla soluzione della questione kurda e alla democratizzazione
della Turchia.
5)
si
dovrebbe avviare una mobilitazione per lo sviluppo economico del Kurdistan e
dovrebbero effettuarsi investimenti dove le infrastrutture lo consentono. Una
riduzione delle tasse previste per le imprese private e più bassi interessi per
l’accesso al credito dovrebbero incentivare ulteriori investimenti.
6)
come in
ogni guerra, è obbligatorio fare indagini sui crimini commessi al di fuori di
quelli dovuti agli scontri militari, politici, economici ed amministrativi e
portare i colpevoli davanti alla giustizia. Solo così si potranno superare i
traumi e la crisi profonda che questa guerra ha prodotto. L’attuazione di questo
obiettivo è molto importante per costruire un clima di fiducia tra la
popolazione turca e quella kurda e tra lo stato e i kurdi. I casi di esecuzione
illegali, rapimenti, sparizioni, decessi presso i posti di polizia e stupri sono
argomenti fondamentali devono essere oggetto di indagine i cui colpevoli devono
essere identificati. Per tutti i paesi che dalla guerra sono passati alla pace
questi sono stati argomenti di ricerca, diventati fondamento di una pace
definitiva. Per questo dovrebbe essere creato subito un
Comitato di indagine delle verità, di giustizia e di amnistia. Un
Comitato costituito da rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani e
altre organizzazioni operanti in ambito giuridico, oltre che da membri di ONG
porterà avanti questo lavoro. Questo Comitato non dovrebbe limitarsi solo ad
investigare sui crimini commessi dagli agenti statali e dagli organismi ad essi
collegati ma anche, se ce ne sono, quelli commessi dai guerriglieri e dal KADEK.
A tal fine, sia lo stato, sia il KADEK dovrebbero essere a disposizione per
facilitare le indagini. Consegnando al Comitato tutta la documentazione e le
informazioni sui fatti. Dopo di che, questi colpevoli dovranno essere processati
in tribunali equi ed imparziali appositamente istituiti da una legge speciale,
che una volta esaurito il loro compito saranno sciolti.
7)
la
popolazione kurda ha sofferto dolori terribili a causa della repressione
politica e del regime e tantissime persone sono rimaste traumatizzate. Per non
far rimanere alcuna ferita e alcun segno nei cuori e nella memoria del popolo
kurdo è importante che chieda perdono per i comportamenti del passato. Chiedere
perdono in questo modo giocherà un ruolo importante per rafforzare la pace e la
fraternità.
8)
il
governo dovrebbe impegnarsi a raggiungere gli obiettivi previsti in questa
seconda fase entro aprile 2004 e ad attuarli
rapidamente.
Da
parte del KADEK e delle forze guerrigliere
1)
dopo
che lo Stato avrà adottato le necessarie misure legislative previste in questa
fase del processo di pace, i gruppi guerriglieri e gli attivisti in esilio
ritorneranno in Turchia, a gruppi di 500 per volta, per partecipare alla vita
politico-democratica. I guerriglieri porteranno le armi e l’equipaggiamento di
cui sono dotati.
2)
tutti
coloro che faranno ritorno in Turchia si impegneranno in quei lavori che
rafforzano la pace sociale. Applicheranno i loro diritti democratici. Non
svolgeranno attività a scapito dello stato.
3)
anche
il KADEK, da parte sua, per tutti i reati commessi nei confronti del popolo,
creerà un Comitato di indagine delle verità, di giustizia e di amnistia
e farà luce sui colpevoli.
Processerà questi colpevoli secondo le regole universali di diritto escludendo
la pena di morte li condannerà, rendendone pubbliche le
sentenze.
TERZA
FASE
È
quella della piena democratizzazione, della soluzione democratica della
questione kurda e del raggiungimento della pace.
Gli
impegni dello Stato in questa fase:
1)
kurda
dovrebbe essere legalmente e costituzionalmente salvaguardata e i kurdi
dovrebbero essere accettati costituzionalmente come intrinseci cittadini della
repubblica democratica. In questo modo con la partecipazione dei kurdi alla
repubblica, il cui stato è di diritto, sociale, democratico e laico, nel suo
vero significato la Turchia diventerà la patria comune di turchi e di kurdi. Il
popolo kurdo avrà l’incarico di mettere in l’identità pratica gli impegni e ogni
responsabilità nei confronti di questo paese democratico.
2)
i
diritti culturali e linguistici dovranno essere riconosciuti e garantiti da
apposite disposizioni di legge. Nessuna restrizione dovrà essere imposta alla
diffusione radiotelevisiva e alla carta stampata. Le stesse disposizioni di
legge e le procedure, cui sono sottoposte le trasmissioni radio televisive in
turco, dovranno regolare le attività di trasmissione in lingua kurda o in ogni
altra lingua. Lo stesso deve essere per tutte le altre attività
culturali.
3)
si
userà la lingua kurda per l’educazione elementare. Chi vorrà potrà far studiare
i propri figli in queste scuole. Invece nei licei s’inseriranno lezioni di
lingua, cultura e letteratura kurda. Nella procedura ministeriale di decisione
degli insegnamenti si dovrà permettere che queste lezioni siano a scelta
individuale. Invece nelle università si creeranno dipartimenti di lingua,
letteratura, cultura e storia kurda.
4)
il
nostro Presidente Abdullah Ocalan dovrà essere rilasciato in piena libertà e gli
si darà la possibilità di svolgere attività politica e di contribuire alla
libera unione dei due popoli e alla vita politica
democratica.
5)
dovranno
essere approvate leggi democratiche per le autorità locali, in modo da
aumentarne i poteri, diffondendo ed approfondendo intrinsecamente la democrazia.
6)
si
rifaranno secondo criteri democratici la legge elettorale e quella sui nuovi
partiti. Entro 6 mesi si andrà a nuove elezioni.
7)
questi
passi dovranno essere realizzati senza che passi troppo tempo, entro il primo
settembre 2004.
Gli
impegni del KADEK in questa fase:
1)
i
dirigenti, compresi i comandanti, tutta la struttura organizzativa e i
guerriglieri torneranno in Turchia, con le loro armi, sotto la protezione delle
organizzazioni internazionali e degli stati.
2)
tutti i
media operanti fuori dalla Turchia si devono organizzare per il periodo della
pace e faranno trasmissioni fondate a contribuire all’unione democratica tra i
popoli e quelli che non devono più svolgere le attività dei mass-media fuori
dallo stato, ritorneranno in Turchia continuando a svolgere i propri lavori
secondo la legge.
3)
tutte
le associazioni e le organizzazioni fuori dal paese si uniranno sotto un tetto
comune con le organizzazioni e associazioni democratiche. Fuori dal paese non
creeranno nessuna organizzazione, che non sia in linea con la pace in Turchia..
Fuori dal paese non parteciperanno ad attività - politiche e diplomatiche – a scapito
della Turchia.
4)
nei
rapporti con i kurdi che si trovano fuori dal paese e nelle altre parti del
Kurdistan si muoveranno secondo gli interessi della Turchia democratica.
In
conclusione, la Turchia è ormai giunta ad un bivio. Non può continuare a lungo
con la politica “né guerra, né pace”. Il suo comportamento nei confronti della
roadmap da noi presentata, dimostrerà su quale strada si avvierà. Ci aspettiamo
che rispondendo positivamente alla roadmap preferirà la strada della pace.
Scegliendo questo percorso, la Turchia si avvierà verso una trasformazione
democratica e diventerà una forza guida per tutta la regione mediorientale. La
questione kurda non sarà più fonte di preoccupazione, ma diventerà un fattore di
forza per la Turchia. Diventerà un paese d’attrazione per tutti i kurdi e per
tutte le popolazioni della regione, non solo per i kurdi che vivono dentro i
confini.
Assumendo
questa posizione, oltre ad esercitare un controllo politico della regione,
diventerà un centro economico; come forza principale dell’asse economico e
politico della regione, la Turchia potrà dare il via ad un grande sviluppo che
potrà garantire il benessere economico. I popoli della regione raggiungeranno la
stabilità politica, impiegando le risorse economiche della regione.
Con la
roadmap che abbiamo elaborato diamo occasione alla Turchia di abbandonare i
comportamenti di negazione adottati da sempre nei confronti dei kurdi e di
appropriarsi di un futuro diverso; in caso contrario insistendo sulle vecchie
politiche entrerà in un perenne circolo vizioso.
Attuando
questa roadmap e creando la pace, la Turchia e i kurdi otterranno molto. Per
questo motivo, sostenuti anche dalla responsabilità che sentiamo verso il nostro
popolo, pensiamo che il progetto da noi preparato sia positivo e ci aspettiamo
che avvii in Turchia e in Medioriente una nuova era.
A
cominciare dai kurdi che si trovano in Turchia, tutti i kurdi diventeranno parte
e solido alleato strategico della Turchia, se il governo si comporterà
positivamente.
Essere
al servizio di una Turchia così per noi sarà fonte d’orgoglio e
d’onore.
La
Turchia da 50 anni è in stretta relazione con l’Europa. È diventata paese membro
del Consiglio d’Europa e oggi fa parte di tutti i suoi organismi. È un paese
candidato all’Unione Europea. Se l’UE accetta la Turchia come paese membro, vuol
dire che anche i kurdi verranno a far parte dell’Unione. Purtroppo nei documenti
relativi alla partecipazione e nella loro roadmap non si fa esplicita menzione
dell’identità del popolo kurdo, facendo solo riferimento in termini generali ai
diritti linguistici e culturali. Questo costituisce un’implicita accettazione
della politica di negazione portata avanti dalla Turchia contro i kurdi. La
Turchia, da parte sua, prendendo coraggio da questo, non nominando l’identità
kurda, ha fatto delle leggi il cui uso è impossibile, cercando nel contempo di
salvare la faccia davanti all’UE. In questo senso, sono un esempio le leggi
dell’agosto 2002 e 2003 riguardanti le diversità culturali e linguistiche: tutte
le richieste d’applicazione che sono state fatte per riconoscere e promuovere
l’identità kurda sono infatti state respinte.
L’Unione Europea non riconoscendo
l’identità kurda, considerando queste leggi che non consentono lo sviluppo della
lingua e della cultura kurda come
passi importanti per la soluzione della questione kurda, diventa complice
della politica di negazione del popolo kurdo messa in atto dalla Turchia.
La
popolazione kurda non è certo contraria all’entrata nell’Unione Europea fondata
sulla realizzazione di un’unione libera e democratica. Ma sarebbe inaccettabile
un comportamento che consideri risolto il problema kurdo e cos’ come risulta
improponibile l’accesso di una Turchia che non concede ai kurdi i diritti
linguistici, culturali ed identitari e ne impedisce
l’esercizio.
Nel
caso in cui non si arrivi a una soluzione, continuerà la legittimazione della
lotta di liberazione kurda. Se l’Europa si metterà al fianco della Turchia potrà
mettere il popolo kurdo e l’UE l’uno contro l’altra.
Per
questo, l’appoggio che l’Unione Europea darà alla roadmap, che segue gli stessi
tempi dei negoziati di adesione della Turchia, sarà un indicatore importante.
La
roadmap che abbiamo preparato è allo stesso tempo anche una roadmap di
preparazione dell’adesione della Turchia all’UE. Da questo punto di vista, il
sostegno dell’UE alla roadmap è necessità legata ai suoi principi fondanti.
La
questione kurda, ormai non è solo più un problema della Turchia, ma dell’intera
Unione Europea. Per questo motivo, la forza politica più adatta a fare da
intermediario è l’UE. Serve che l’Unione Europea chieda alla Turchia di
risolvere la questione e faccia anche da intermediario.
Il
problema kurdo non ha meno importanza di quella di Cipro e non si potrà non
vederlo. Nel XX secolo l’Europa, invece di giocare un ruolo positivo nella
soluzione democratica della questione kurda, come richiederebbero i suoi valori,
sfuggendo le sue responsabilità morali e politiche, ha contribuito a fare in
modo che la situazione rimanesse invariata..
L’Unione
Europea deve smettere di farsi strumento di una Turchia che insiste a non
risolvere il problema e che, entrando nell’UE legittimerà le sue negazioni e il
concetto di liquidazione della lotta di liberazione del popolo kurdo.
Non si
deve rivedere la decisione di far aderire la Turchia all’UE ma, considerato che
anche i kurdi ne fanno parte, occorre risolvere i problemi attraverso vie
democratiche.
Il
nostro Presidente recandosi in Europa era intenzionato a risolvere la questione
kurda, ma l’Europa è diventata complice del complotto internazionale perpetrato
proprio contro di lui.
Per
questo l’Europa ha una storica responsabilità e per questo deve contribuire alla
realizzazione della roadmap che abbiamo elaborato. Accettiamo quindi l’UE come
intermediaria e la chiamiamo ad assumersi una responsabilità simile a quella
assunta per la questione di Cipro.
Intervenendo
in Iraq, gli Stati Uniti si sono insediati in Medio Oriente. Con al caduta del
regime di Baath è diventato possibile creare un Iraq federale e democratico. Un
sistema federale e democratico è la struttura politica più adatta alle ricchezze
nazionali e culturali dell’Iraq. Sviluppare ed esprimere liberamente le culture
e le identità di arabi, siriani, kurdi e turchi in un Iraq così, sarà un modello
di sviluppo della democrazia per tutto il Medio Oriente.
L’ottenimento
dei diritti culturali, linguistici ed identitari dei kurdi senza il cambiamento
dei confini di Siria, Iran e Turchia, il loro diventare soggetto attivo nella
vita sociale e politica, sarà la chiave dello sviluppo della democrazia in tutto
il Medio Oriente. Su questo tema gli USA sono nella posizione di poter giocare
un ruolo positivo.
Gli
Stati Uniti sono nella posizione di poter giocare un ruolo positivo in tal
senso. Visti i loro rapporti con la Turchia per realizzare le libertà espresse
nella roadmap in nord Kurdistan potranno giocare un ruolo costruttivo. Una
Turchia che abbia risolto la questione kurda, diventando il motore della
democratizzazione del Medio Oriente, accelererà e rafforzerà l’obiettivo della
democratizzazione del Medio Oriente, che ha giustificato l’intervento degli
Stati Uniti in Iraq.
Far
scontrare l’uno contro l’altro gli USA e il KADEK serve solo a sabotare la
democratizzazione del Medio Oriente e a proteggere il vecchio status quo. Questa
politica che da decine d’anni dimostra di non essere a favore della Turchia, nel
periodo dell’intervento è stato causa di antagonismi tra gli
stessi.
In
Turchia la soluzione del problema kurdo non può quindi essere raggiunta
mantenendo i contrasti tra USA e KADEK, ma deve basarsi sulla cooperazione tra
USA e Turchia necessaria per risolvere democraticamente la questione. Su questo
argomento gli Stati Uniti entrando in dialogo con il KADEK e la Turchia potranno
attuare insieme la roadmap da noi ragionevolmente elaborata.
Noi
riteniamo che gli Stati Uniti, sfruttando la loro posizione attuale nella
regione e dialogando con entrambe le parti, giocheranno il proprio ruolo per la
realizzazione della roadmap.
Gli stati della
regione a cominciare da Iran e Siria
La
mancanza di soluzione per la questione kurda è come una condanna inflitta dagli
Dei del male al Medio Oriente. Nel corso della storia, i kurdi hanno contribuito
in modo importatne allo sviluppo di quest’area.. Oggi invece a causa delle
politiche di negazione e repressione subite, sono caduti in una posizione che
gli ha fatto perdere la forza. Scontrarsi con i kurdi ha fatto perdere molto
alle popolazioni della regione. La soluzione della questione kurda, inoltre,
facendo venir meno la divisione tra Iran e Siria darebbe a questi due paesi
grande forza. Per questo è necessario appoggiare la roadmap prevista per la
Turchia, tendo a mente che la stessa, potrebbe valere, con alcune variazioni
dovute alle condizioni specifiche di ciascun paese, anche per Iran e
Siria.
Analogamente gli altri paesi arabi della regione ed anche Israele appoggiando la roadmap presentata, che porterà alla soluzione della questione kurda, dovrebbero assumersi la propria responsabilità per la democratizzazione del Medio Oriente in uno spirito di fratellanza.
Forze politiche
kurde nel Kurdistan meridionale
Con il
crollo del regime Baath, l’Iraq democratico si è avviato al periodo di creazione
di un Kurdistan federale libero. Tuttavia, la migliore garanzia di libertà del
popolo kurdo è la democratizzazione dell’intero Medio Oriente. I paesi della
regione che non risolvono la questione kurda e che non vogliono che negli altri
paesi si trovi una soluzione della stessa, sono d’ostacolo alla democrazia. Per
questo la democratizzazione della Turchia è un aspetto molto importante per la
soluzione della questione kurda.
La
roadmap che abbiamo presentato è nell’immediato interesse anche delle
organizzazioni e dei partiti presenti nel Kurdistan meridionale. In questo
periodo in cui la soluzione della questione kurda è diventata ancora più
possibile, per tutte le parti comportarsi responsabilmente ha valore storico.
L’esistenza del KADEK dà soltanto forza alle organizzazioni del Kurdistan
meridionale. Bisogna essere attenti di fronte alle forzature della Turchia nei
confronti degli USA a scontrarsi con il KADEK, così come delle forze del
sud.
Queste
forzature contro la libertà del popolo kurdo nel Kurdistan meridionale allo
stesso tempo vanno viste come un attacco. I rapporti con la Turchia devono
essere nell’ambito dell’applicazione della nostra roadmap. Aiutando la Turchia e
il KADEK a questo riguardo si faciliterà l’applicazione della
roadmap.
Le
forze del sud devono vedere la realizzazione di questa roadmap come garanzia
della loro stessa libertà e devono vederla come la strada del mettersi in
relazione continuativa e di beneficio, per questo devono fare quanto è di loro
competenza ed appropriarsene.
Le forze
democratiche in Turchia
Nell’attuazione
della roadmap il compito più importante è assegnato a queste forze. Gli ambienti
a favore della stabilità politica ed economica della Turchia devono vedere
questa roadmap come il progetto di stabilità, unità, democrazia e pace della
Turchia.
Per
quanto rischioso devono condividere la responsabilità dell’attuazione della
roadmap. Le forze politiche, se c’è un’atmosfera positiva, che incoraggia la
posizione per la soluzione nell’opinione pubblica, dovranno fare i loro passi.
In caso contrario, seguendo le preoccupazioni politiche mancheranno alle loro
responsabilità. Per questo i sindacati, le organizzazioni della società civile,
gli intellettuali, gli artisti, devono dichiarare il loro sostegno a questo
progetto e devono assumersi le loro competenze. Questo atteggiamento influenzerà
in maniera rilevante la decisione dei partiti politici sul comportamento da
assumere.
Nell’opinione
pubblica c’è un alto livello di pregiudizio ed errore che può mettere in
difficoltà la soluzione. In maggioranza le forze democratiche e la stampa
potranno far superare questi ostacoli.
Nel
mondo di oggi i media sono la forza più importante nel preparare l’opinione
pubblica. Se si comportano responsabilmente, per quanto riguarda l’applicazione
della roadmap, daranno coraggio ad ogni attore.
Riportando
in comportamenti positivi dimostrati sia dal KADEK che dallo Stato la stampa
deve dimostrare che una tale roadmap sarà maggiormente di beneficio per la
Turchia.
Se la
stampa si mette a disposizione della soluzione democratica della questione kurda
fortificherebbe l’unione e l’incontro dei popoli kurdo e turco. Quindi il
comportamento dei media sarà determinante nel preferire la scelta della
realizzazione della pace o del riavviarsi degli scontri.
Noi,
mossi dall’idea che il destino di questa roadmap sia collegato al comportamento
delle forze democratiche e dei media, li chiamiamo ad assumersi le loro storiche
responsabilità appoggiando questa roadmap.
Assemblea
direttiva del KADEK, 2 agosto 2003