Intervista sulla sinistra irachena.
Intervista ad Ilario Salucci
sulla storia della sinistra irachena e le possibilità che ci
sono nella crisi in atto per una "uscita" da sinistra. Febbraio
2003.
Ilario Salucci
ha scritto una approfondita storia della
sinistra irachena pubblicata nei numeri scorsi.
Gli rivolgiamo qui una serie di domande sullo stesso argomento al fine di
introdurre a questa tematica anche chi non è ancora familiarizzato con le
complesse dinamiche che hanno diviso e ricomposto la sinistra mondiale. Ed anche
per comprendere sulla base della storia della sinistra irachena che possibilità
ci sono nella crisi in atto per una "uscita" a sinistra. D: Abituati come siamo alle immagini di un Iraq passivizzato e
devastato dall'embargo, ci riesce difficile immaginare che la sinistra e le
masse di lavoratori e contadini abbiano mai avuto un qualche ruolo nel
determinare il corso della storia di questo stato. La studio che hai fatto
dimostra, ci pare, il contrario. (il 48, il 91, ecc.) R: Le lotte popolari in Iraq sono state importantissime
nel determinare il corso della storia di questo paese. Le date chiave sono
quelle del 1920, 1948, 1958 e 1991. Nel ’20 vi è una enorme rivolta contadina
contro l’imperialismo britannico che occupava il territorio iracheno, nel ’48
una sollevazione urbana contro la monarchia filoinglese e per migliori
condizioni di vita ("pane e scarpe"), nel ’58 una rivoluzione che mise fine alla
monarchia e nel ’91 una rivolta urbana congiunta ad una sollevazione dei
soldati. Se da un lato queste date segnano una serie di fallimenti, visto
l’esito di queste rivolte, sollevazioni ed insurrezioni, tutte schiacciate a più
o meno breve distanza di tempo con ondate repressive terribili, dall’altro
queste lotte non sono state delle parentesi, chiuse col sangue e nulla più. La
rivoluzione del 1958 non ci sarebbe stata senza le lotte precedenti, che non
furono esplosioni isolate ma sedimentarono nel corso dei decenni senso e dignità
popolare, odio verso l’imperialismo e la monarchia, dedizione alla causa della
liberazione dei lavoratori e dei contadini di molti militanti, che rimpiazzavano
via via nel tempo i molti che cadevano sotto i colpi della repressione. La
natura popolare della rivoluzione del ’58 impedì il ritorno alla situazione
preesistente, e quanto di positivo è avvenuto in Iraq nei tre decenni successivi
— la scomparsa di relazioni sociali precapitaliste, la rottura con le potenze
imperialiste, la cancellazione del nucleo centrale della borghesia — è dovuto
più agli effetti sul lungo periodo di quella rivoluzione, che alle singole
persone e forze che hanno preso questa o quella misura ai vertici dello stato
iracheno. Quanto di negativo è avvenuto nei trent’anni successivi, a cominciare
dal fatto che rottura con l’imperialismo, nazionalizzazioni e così via non
avvennero nell’interesse dei lavoratori e dei contadini, ma nell’interesse di
una burocrazia statale con tratti, comportamenti e aspirazioni borghesi, è
dovuto al fatto che la rivoluzione del 1958 si fermò a metà strada, non
distrusse il pilastro dello stato borghese iracheno, l’esercito. E’ stato dal
seno di questo esercito che è emersa la burocrazia di tipo borghese al potere da
allora. Nel 1991 vi fu la possibilità che questo pilastro venisse distrutto, con
la grandiosa rivolta di marzo, ma le debolezze — in primo luogo politiche —
della sinistra irachena non hanno permesso che questa possibilità si
realizzasse: la rivolta fu confinata al sud e al nord del paese, e venne quindi,
anch’essa, schiacciata nel sangue. D: Il PC iracheno è conosciuto come "partito dei martiri". Puoi
fare una breve panoramica delle vicissitudini di questo partito che giustificano
tale definizione? R: Il PC iracheno è stato quasi sempre in clandestinità.
I primi nuclei comunisti sorgono nel 1924: da allora ad oggi, quasi ottant’anni,
il PC ha avuto piena esistenza legale per soli cinque anni, dal 1973 al 1978, ed
anche in quei cinque anni si "autolimitava" e si autocensurava pesantemente per
evitare di incorrere nelle ire del potere. Comunque in quei cinque anni altre
formazioni comuniste, scissioni di sinistra del PC, vissero nell’illegalità
forzata e furono duramente perseguitate. Per quanto riguarda il PC, nella sua
storia ha subito tre ondate repressive terribili, con centinaia di vittime,
migliaia di arresti, altre migliaia di compagni costretti all’esilio e alla
fuga: nel 1949, quando anche il suo segretario generale fu impiccato ed il suo
corpo lasciato per ore in piazza a monito della popolazione, nel 1963, quando
anche il suo segretario generale venne arrestato e morì in modo atroce dopo
quattro giorni di torture, e nel 1979 (in quest’ultima occasione i più alti
vertici del partito riuscirono fortunosamente a salvarsi). La lista dei
"martiri" comunisti iracheni e dei militanti operai e di quelli contadini
massacrati dalle forze "dell’ordine" — almeno dagli anni ’40 ad oggi - è
purtroppo lunghissima. D: La nascita della sinistra nei Paesi del cosiddetto "Terzo
mondo" non ha seguito la stessa dinamica che abbiamo conosciuto, ad esempio, in
Europa alla fine del XIX sec. con la nascita dei partiti socialisti e dei
sindacati di massa. Ci puoi descrivere la nascita e lo sviluppo del Partito
Comunista Iracheno nel contesto dell'Iraq degli anni trenta e quaranta? R: L’origine del PC in Iraq è in gruppi di
intellettuali, che facevano battaglie "modernizzatrici" per usare un termine
odierno (contro l’islamismo, per la liberazione della donna, contro il
"feudalesimo" predominante nel paese) e antimperialiste. Si chiedeva la
"rivoluzione sociale immediata in tutti gli ambiti della vita". Di lavoratori
tra i comunisti ce n’erano pochi: ma bisogna ricordare che la realtà della
classe operaia irachena degli anni ’20 e ’30 è ben diversa da oggi. Per lo più
si trattava di artigiani, o di lavoratori presso ditte minuscole, in una
situazione sociale non ben distinguibile da quella della piccola borghesia.
Questi lavoratori iniziarono negli anni ’30 a sindacalizzarsi, ma senza chiare
linee di indipendenza di classe, in sindacati diretti da esponenti nazionalisti
(che ebbero vita effimera, perché presto messi fuori legge). E’ solo negli anni
’40 che emerge un nucleo — piccolo, ma molto combattivo — di classe operaia
industriale, nel settore petrolifero, nei porti, nelle ferrovie. E’ stato un
pregio del PC quello di legarsi immediatamente a questa classe operaia, fin dal
’41-’42, indirizzando ad essa tutti i propri sforzi. Quando vennero legalizzati
per un breve periodo i sindacati (dal ’46 al ’48) i comunisti ne avevano la
direzione incontrastata. Il PC era diventato la spina dorsale del
militantismo operaio iracheno, e furono questi militanti operai che
diressero la grande sollevazione del 1948, quando a Baghdad si respirava il
"profumo della rivoluzione sociale". Inoltre il PC iniziò anche a radicarsi
nelle campagne, con risultati limitati, ma localmente importanti - comunque alla
fine degli anni ’40 il quadro politico nelle campagne era completamente mutato
rispetto a trent’anni prima: le rivolte contadine non erano più dirette dalle
vecchie classi possidenti (contro gli imperialisti, come nel 1920), ma erano
dirette contro queste classi possidenti. La lotta di classe aveva contagiato
anche l’Iraq rurale. D: Il PCI all'inizio degli anni quaranta assume le
caratteristiche tipiche di un partito stalinista: allineamento a Mosca, mancanza
di democrazia interna, strategia dei "due tempi". Ci spieghi cosa significava in
concreto questa tipologia nel contesto iracheno e in che modo influenzò lo
sviluppo del partito? R: Il Partito comunista dell’Iraq iniziò ad allinearsi
alle direttive sovietiche all’inizio degli anni ’40, quando il partito venne
ricostruito sotto la direzione di "Fahd". Questo comportò, dal 1942 al 1944, un
cambio radicale di politica: mentre prima il nemico numero uno dei lavoratori e
dei contadini iracheni era l’imperialismo inglese che controllava e sfruttava il
paese, ora la Gran Bretagna diventava un alleato nella "guerra antifascista" e
doveva quindi essere sostenuto (anche se continuava a controllare e sfruttare
l’Iraq). Va a merito del PC il fatto che questo orientamento venne adottato in
ritardo sui tempi di Mosca e venne abbandonato in anticipo: i danni che comportò
in Iraq furono quindi limitati, e si ebbe un forte sviluppo del partito
nonostante questo orientamento. Il PC adottò in pieno invece la strategia
dei "due tempi": prima assicurare una rivoluzione borghese, diretta dalla
borghesia nazionale irachena contro l’imperialismo, e solo dopo si sarebbe
aperta la prospettiva della lotta per il socialismo. Le parole d’ordine
politiche erano molto, molto moderate. Questo orientamento comunque non impedì
che i militanti comunisti e il PC in quanto partito, si battessero per i diritti
e gli interessi immediati dei lavoratori e dei contadini: non è che il PC era a
favore di scioperi e della lotta di classe solo dove i padroni erano inglesi! La
strategia dei "due tempi" attuata in questo modo non influì più di tanto sullo
sviluppo del partito negli anni ’40 e ’50, ma quando scoppiò la rivoluzione nel
1958 la questione del potere si pose in tutta la sua importanza e attualità, le
questioni astratte di strategia diventarono materia di scelte politiche
quotidiane, e allora le conseguenze di questo orientamento dei "due tempi"
furono veramente catastrofiche. Il funzionamento interno del partito divenne, sempre a partire
da quegli anni, centralizzato e abbastanza antidemocratico, provocando numerose
fratture interne: ma questo, più che un frutto dello stalinismo, fu anche una
conseguenza della condizione di clandestinità in cui si trovò il PC. Il
funzionamento interno del PC era, più che "staliniano", di un tipo
"zinovievista" (da Zinoviev, che fu il segretario dell’Internazionale Comunista
a metà degli anni ’20): autoritario, con al centro della vita di partito la
"direzione" che nominava i gruppi dirigenti locali, ma il confronto politico era
accettato e non c’era repressione di chi la pensava diversamente. Così ad
esempio nella prima metà degli anni ’50 l’influenza della rivoluzione cinese
portò ad una svolta "maoista" del PC per un paio d’anni. Questo significa che la
vita interna del partito non era solo una finzione. Un altro esempio è che negli
anni ’40 e ’50 tutte le scissioni che vi furono sono state fatte "a destra", di
compagni che accusavano il partito di non essere sufficientemente allineato a
Mosca, e che conduceva una politica avventurista, ultrasinistra. D: Nel tuo scritto si accenna alla posizione che l'URSS
mantenne riguardo alla creazione dello stato di Israele. Che conseguenze ebbe
questa politica sui PC dell'area e segnatamente su quello iracheno? E poi:
perché l'URSS favoriva la politica dei "due tempi"? R: E’ impossibile sottovalutare l’impatto catastrofico
che ebbe la posizione dell’URSS su Israele nel 1948. Quanto avvenne quell’anno
continuò ad avere effetti per decenni. Dopo che un elemento centrale nella
politica dei PC mediorientali era la battaglia antisionista (non antiebraica: la
forte Lega Antisionista in Iraq, creata dal PC, era composta da ebrei), l’URSS
votò all’Onu a favore della nascita dello stato israeliano, si mise a elogiare
il sionismo, riconobbe lo stato d’Israele ancor prima degli Stati Uniti, e
rifornì d’armi l’esercito israeliano che organizzava l’espulsione di massa degli
arabi dalla Palestina. Mosca inoltre pretese che tutti i vari PC adottassero la
sua stessa politica. Questo provocò un rigetto di massa nei paesi arabi contro
l’URSS e contro i comunisti, in una congiuntura che era di grandissima ascesa
delle lotte di massa in tutti i paesi arabi: in Iraq questa svolta, insieme alla
repressione, fece sì che il PC per diversi anni perse il sostegno di massa di
cui prima godeva. Mosca fu per la politica dei "due tempi" nei paesi dipendenti
(e non solo in quelli: neppure in Europa occidentale era all’ordine del giorno
la rivoluzione socialista) non per un "errore teorico": questa politica si
rivelò catastrofica tante volte, ma Mosca non cambiò il suo orientamento. Dopo
il 1945 gli elementi fondamentali che giocarono a favore di questo orientamento
furono due. In primo luogo evitare uno sbocco socialista a processi
rivoluzionari che si sviluppavano nel mondo garantiva che si mantenesse l’
"ordine di Yalta", il patto di divisione del mondo siglato dall’URSS e dagli
Stati Uniti e Gran Bretagna alla fine della seconda guerra mondiale (la nascita
della guerra fredda nel 1948 non intaccò nella sostanza l’ "ordine di Yalta",
che sopravvisse fino al 1989-1990). Dove comunque questo sbocco socialista si
ebbe (in Cina, a Cuba, in Vietnam), questo avvenne contro la volontà di
Mosca, che non ebbe il potere di impedirlo. In secondo luogo la burocrazia al
potere a Mosca temeva sopra ogni altra cosa qualsiasi processo rivoluzionario,
che potenzialmente avrebbe potuto avere effetti internazionali e avrebbe potuto
mettere in discussione il proprio ruolo e il proprio potere. D: Nonostante la stalinizzazione il PC iracheno mantenne delle
caratteristiche peculiari che ne garantirono lo sviluppo negli anni successivi
alla seconda guerra mondiale. Ci puoi descrivere queste differenze nel contesto
della crescita del PC negli anni quaranta e cinquanta? R: Il PC iracheno negli anni ’40 e ’50 era un partito
stalinizzato a metà, per i motivi che dicevo prima. Il problema era che, a parte
la parentesi "maoista" nel 1953-1954, credette veramente nella giustezza della
politica dei "due tempi". Fu solo dopo le drammatiche esperienze del 1958-1964
che la direzione del PC si interrogò seriamente su questa strategia. Il
mantenimento di una prospettiva strategica "non socialista" da parte del PC dopo
il 1959 trasformò il partito, che diventò davvero un partito stalinizzato, un
partito controrivoluzionario. Non era più questione di essere convinti di una
data politica: era una questione di interessi, di legare totalmente il proprio
destino a quello dei burocrati sovietici, contro gli interessi dei lavoratori
del proprio paese. Basti pensare alla responsabilità enorme del PC nel
consolidamento del regime di Saddam Hussein negli anni ’70, al fatto che
appoggiò Saddam Hussein proprio mentre scatenava la repressione contro i
comunisti non allineati a Mosca e la guerra contro i kurdi, mentre Saddam
Hussein stringeva accordi con il pilastro imperialista nel Medio Oriente,
l’Iran. Le responsabilità del PC negli anni ’70 sono davvero terribili. L’Iraq
odierno deve molto delle sue disgrazie alla politica del PC degli anni ’70. Il discorso dello sviluppo del partito è un discorso diverso.
Un partito stalinizzato, un partito controrivoluzionario, può svilupparsi e
diventare lo stesso un partito di massa. Lo sviluppo di un partito non dipende
solo dal suo orientamento politico complessivo: si tratta di vedere se assolve
delle funzioni importanti per la classe operaia, garantendo delle conquiste
parziali. In questo caso può essere un partito stalinizzato, un partito
controrivoluzionario, ma con una forte base nella classe operaia. Questo è più o
meno quello che è successo negli anni ’70, con un PC con un orientamento
politico terribile ma con una forte base di massa: vi furono una serie di
miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori, ed il PC assicurava che
questi miglioramenti ci fossero e venissero mantenuti, era la forza politica che
più di ogni altro si batteva per questi miglioramenti (il Codice del Lavoro del
1971 ad esempio rendeva molto sicuro il posto di lavoro). Ma il suo orientamento
politico complessivo portò al rafforzamento di Saddam Hussein, che quando ne
ebbe la forza prima schiacciò nel sangue il PC, nel 1979-1980, e cancellò poi
nel corso degli anni ’80 tutte le conquiste dei lavoratori. D: Il 14 luglio 1958 un colpo militare promosso da un gruppo
di "Ufficiali Liberi" instaurò la repubblica e promosse una serie di limitate
riforme. Quale fu l'atteggiamento del PC iracheno verso il regime di
ŒAbd-ul-Karim Qasim e quali furono i risultati di questa
politica? R: Il PC iracheno vide nella rivoluzione del 1958 la
rivoluzione borghese che tanto aveva sognato. Qasim diventava il leader borghese
per eccellenza di questa rivoluzione, era il leader che garantiva il corso
borghese e progressista della rivoluzione. Il PC subordinò totalmente tutta la
propria attività al mantenimento al potere di Qasim: se uno sciopero metteva in
difficoltà Qasim non si doveva farlo, se le lotte contadine per una riforma
agraria radicale mettevano in difficoltà Qasim non si dovevano fare, se Qasim
scatenava la repressione contro i comunisti si doveva tacere, per non metterlo
in difficoltà, e così via. Fu una vera politica suicida. Il PC era cresciuto
enormemente con la rivoluzione del 1958, 25.000 aderenti e probabilmente
centinaia di migliaia di persone nelle sue varie "organizzazioni di massa",
delle donne, dei giovani, degli studenti, dei pacifisti, e così via, senza
contare il suo controllo delle associazioni contadine e dei sindacati: grazie a
questa politica si ritrovò quasi senza influenza nel 1963, quando un colpo di
stato rovesciò e uccise Qasim (la sua ultima decisione politica fu di non
distribuire le armi ai manifestanti che cercavano di opporsi al colpo di stato)
e scatenò la repressione contro i comunisti, da tempo senza più nessuna
"organizzazione di massa", espulsi dai sindacati e dalle associazioni contadine,
e con circa 10.000 aderenti. La politica del PC sotto Qasim fu la stretta
applicazione della politica dei "due tempi": una volta arrivata la rivoluzione
borghese tutte le forze dovevano essere concentrate a rafforzare la borghesia
nazionale. In realtà tale "borghesia nazionale" era talmente debole e con
interessi talmenti intrecciati a quelli delle vecchie classi dominanti che la
"rivoluzione borghese" fu una pallidissima copia del modello (rottura con
l’imperialismo, riforma agraria radicale che spazzasse via il potere delle
vecchie classi dominanti, sviluppo economico nazionale, uno stato basato su
diritti costituzionali, diritti e libertà democratiche per tutti e in primo
luogo per i lavoratori): il PC, prigioniero della politica dei "due tempi" e del
sostegno alla "borghesia nazionale" si ritrovò ad appoggiare tutte le scelte
catastrofiche di questa borghesia bastarda, l’unica esistente nel paese. Il
fallimento di questa borghesia fu così anche il fallimento del PC. D: Tra gli anni cinquanta e sessanta si diffuse nel mondo
arabo la corrente "panarabista": cos'era, su quali forze contava e quale fu
l'atteggiamento verso di essa della sinistra irachena? R: Il nazionalismo panarabo è associato negli anni ’50 e
’60 ai nomi di Nasser, il leader egiziano salito al potere in Egitto con il
colpo di stato degli "ufficiali liberi" del 1952 , e a quello del Ba’th, il
partito sorto in Siria negli anni ’40, e che faceva dell’unità araba il proprio
vessillo (Saddam Hussein è il leader del Ba’th iracheno). L’appello a questa
unità araba ebbe un forte impatto tra le masse del Medio Oriente: l’aspirazione
a questa unità, contro una serie di frontiere tracciate arbitrariamente dagli
imperialismi dopo la prima guerra mondiale, è evidente nelle ricadute che gli
avvenimenti politici di un paese provocano immediatamente in tutti gli altri. Si
pensi al 1948, alla nascita di Israele e alla cacciata dei palestinesi. Si pensi
al 1967, con la sconfitta degli eserciti arabi nella guerra contro Israele.
Ancora oggi questa aspirazione all’unità da parte delle masse arabe è un potente
fattore nella vita politica del Medio Oriente. Le forze comuniste inizialmente
furono risolutamente a favore dell’unità araba: Mosca poi impose un orientamento
opposto, a partire dalla seconda metà degli anni ’30 (politica di Fronte
Popolare e di alleanza con la Francia). Questo orientamento contro l’unità araba
continuò fino al 1956, quando si ebbe una nuova svolta, a favore (legame
dell’URSS con il regime nasseriano), ma durò poco perché l’orientamento
anti-unità araba riemerse come "linea" nel 1959 (rottura dell’URSS con Nasser e
il Ba’th). Finalmente nuova svolta a favore, nel 1965 (nuova luna di miele tra
l’URSS e Nasser). Negli anni successivi questo orientamento è stato mantenuto.
Il problema è che questo orientamento da parte comunista ha risposto solo e
unicamente agli interessi della politica estera sovietica, non alle aspirazioni
delle masse arabe, alle loro lotte. Anche quando i PC furono "filo — unità
araba" questa venne sempre intesa come allineamento a questo o a quel regime:
più che un orientamento "filo — unità araba" i PC mediorientali furono volta a
volta "filo-Qassim", "filo-Nasser", "filo-Saddam Hussein" e "filo-Assad" (l’uomo
forte del Ba’th al potere in Siria). I nasseriani e i ba’thisti erano nazionalisti, populisti,
ferocemente anticomunisti. Vi furono fenomeni di radicalizzazione all’interno di
queste organizzazioni, con la nascita di organizzazioni di sinistra che ruppero
con la loro precedente tradizione populista, ma furono delle eccezioni (le due
più importanti sono state la nascita del FPDLP palestinese e del Partito
Socialista yemenita sorti dalle ceneri del Movimento Nazionalista Arabo). Hanno
goduto di un importante appoggio di massa nelle situazioni in cui il movimento
operaio non aveva raggiunto l’indipendenza politica, con forti sindacati e
partiti di sinistra. In Iraq ebbero quindi un peso di massa molto limitato, e
nel 1958-1959 furono il veicolo di tutte le forze schierate accanitamente contro
la rivoluzione. D: L'8 febbraio 1963 un colpo di stato militare rovesciò il
regime di Qasim. Seguirono una serie di aggiustamenti che terminarono con il
colpo di stato del 30 luglio 1968 che portava al potere il Ba1th. L'uomo forte
del nuovo regime diverrà poi Saddam Hussein. Quale atteggiamento tenne il PC
iracheno verso il nuovo regime? R: Qasim viene rovesciato da un colpo di stato militare
nel febbraio 1963: ne seguono cinque anni convulsi, in cui i colpi di stato —
sia riusciti che falliti — si succedono a ritmo incalzante. Nel luglio 1968, con
due colpi di stato a brevissima distanza l’uno dall’altro sale al potere il
Ba’th. Nel 1973 il PC iracheno stringe un’alleanza con il Ba’th ed entra nel
governo (in realtà il governo non aveva alcun potere decisionale, detenuto dal
solo "Consiglio del Comando Rivoluzionario" composto solo da membri del Ba’th).
In questi dieci anni il PC oscilla tra una contrapposizione netta contro il
potere in carica (come con il regime sorto dal colpo di stato del 1963) e la
ricerca di un accomodamento con lo stesso potere (una linea "accomodante" verso
l’esercito al potere, assunta nel 1964, viene ritirata un anno dopo perché i
militanti non la applicavano, e la direzione si ritrovò contro tutto il corpo
del partito). Sono i dieci anni in cui la borghesia nazionale viene spazzata via
da una serie di nazionalizzazioni, e in cui una burocrazia borghese prende le
redini non solo dello stato ma anche dell’economia: il PC si ritrova spiazzato.
Il soggetto storico della "rivoluzione borghese" non esiste più! Inoltre il PC
affronta la sconfitta del 1963, quando la repressione cancella praticamente
tutte le sue strutture, e cerca di individuare le radici dei propri errori. Sono
gli anni in cui la strategia dei "due tempi" viene sottomessa a una forte
critica, e in cui è forte l’influenza castrista e guevarista. Lo sbocco di
questa situazione è una scissione di sinistra, che prende la via della lotta
armata (Partito Comunista Iracheno — Comando Centrale), mentre il vecchio PC
accetta le aperture del Ba’th e si allea strettamente con Saddam Hussein,
glorificato come un nuovo Castro grazie alle nazionalizzazioni delle compagnie
petrolifere. Il Partito Comunista Iracheno — Comando Centrale finirà i suoi
giorni alla fine degli anni ’70, schiacciato dalla repressione, dai propri
errori politici e dai tradimenti subìti. Il vecchio PC vede in Saddam Hussein la
"via non capitalista allo sviluppo", da assecondare nello stesso identico modo
in cui era stata assecondata la "borghesia nazionale" nel 1958-1963, ma crederà
di aver raggiunto la gloria solo per pochi anni, perché nel 1979 arriva il suo
turno nella ruota repressiva. Senza bisogno di un nuovo colpo di stato: ci pensa
lo stesso Saddam Hussein. In generale non si capisce nulla della politica del PC
in questi anni se non si considerano i legami tra Baghdad e Mosca. D: In termini generali come si è rapportata la sinistra
irachena nei confronti della questione curda? R: I comunisti all’inizio appoggiavano la rivendicazione
dell’indipendenza per il Kurdistan: ma come per la rivendicazione dell’unità
araba, dalla fine degli anni ’30 venne abbandonata. La posizione che il PC ebbe
sempre da allora ad oggi è per un Iraq federale in cui vengano riconosciuti una
serie di diritti alla popolazione kurda, ma non quello dell’autodeterminazione
nazionale. Su questo non ha mai conosciuto oscillazioni. Nei momenti in cui il
PC era impegnato ad appoggiare il potere in carica (tra il 1958 e il 1963 con
Qasim e tra il 1973 e il 1979 con Saddam Hussein) ha anche appoggiato le guerre
di Baghdad contro i kurdi. La scissione di sinistra del Partito Comunista Iracheno —
Comando Centrale alla fine degli anni ’60 e un settore uscito dal PC nel 1993
(ma rientratovi quest’anno) si sono invece battuti per una totale
autodeterminazione del popolo kurdo. D: Infine: l'Occidente si affanna a cercare forze politiche
alternative a Saddam e certo non le andrà a cercare nelle file della sinistra.
Che chance hanno i comunisti iracheni di poter influire nella crisi in atto e in
quella che, prevedibilmente, seguirà la guerra? R: Il PC dopo il 1980 è cambiato molto. Negli anni ’80 i
suoi legami con Mosca si allentarono, ed evidentemente dal 1990 non esiste più
la tutela sovietica. Sull’onda del crollo dei paesi dell’est ha assunto una
posizione di tipo socialdemocratico pragmatico (riconoscendo il ruolo del
capitale privato nell’Iraq del post — Saddam Hussein), ma ha mantenuto una
posizione radicale contro il regime di Baghdad. Ha accumulato una esperienza
importante, in termini di lotta armata, di radicamento in clandestinità nei
centri urbani. Anche la sua visione strategica sotto alcuni aspetti si è
arricchita, dopo il fallimento dell’insurrezione del marzo 1991. I movimenti profondi nella società irachena sono complessi e
non vi sono informazioni sufficienti per un osservatore esterno per poter
emettere un giudizio netto. Di certo l’attività clandestina in Iraq, comprese
attività militari, sono continuate in questi anni, e all’inizio del 1999 una
rivolta di massa è scoppiata in tutti i maggiori centri iracheni. La popolazione
irachena, nonostante dodici anni tra l’incudine dell’embargo internazionale e il
martello del regime di Saddam, non è piegata: farà di certo sentire la sua voce
nei mesi e negli anni a venire. Il PC iracheno e l’estrema sinistra irachena
hanno commesso errori terribili, ma anche accumulato esperienze molto ricche.
Oggi il PC è risolutamente contro la guerra degli Stati Uniti e altrettanto
risolutamente contro il regime di Saddam. Per me è la posizione giusta. Usando
un’immagine politica molto vecchia direi che solo un Iraq in mano ai lavoratori,
ai contadini, ai semiproletari urbani, solo un Iraq democratico potrà far fronte
all’imperialismo statunitense, alle sue pretese, ai suoi appetiti. Solo questo
Iraq può aver la forza per ergersi contro la superpotenza statunitense. L’Iraq
di Saddam di fronte agli Usa non potrà che soccombere nell’ignominia e nel
disprezzo. E’ possibile la rivoluzione in Iraq? A gennaio due autorevoli
commentatori marxisti arabi hanno scritto su Le Monde Diplomatique che sarà
improbabile. Ma già il fatto che ci si interroghi pubblicamente su questa
possibilità e su un giornale così importante a livello mondiale indica che uno
sviluppo del genere non è assolutamente impensabile, ma è inscritto tra le
possibilità dell’attuale situazione. E se iniziassimo a ragionare su come
possiamo aiutare i nostri fratelli iracheni in questa prospettiva?