TRISTE RIENTRO IN CITTÀ

 

Rientro a Brescia dopo 15 giorni. Durante la mia assenza mi erano giunte diverse telefonate preoccupate ed allarmanti sulla sorte dei profughi rom rumeni di via Labirinto: prima il proprietario del terreno che teme che un prolungamento dell’insediamento, eventualmente accresciuto, possa irritare l’amministrazione comunale, poi una volontaria che mi informa di alcuni fatti che fanno fondatamente temere un prossimo sgombero del campo (simile a quello che il 14 gennaio 02 ha portato alla distruzione, ad opera dei vigili, di 13 roulotte di proprietà degli stessi profughi), infine  di un consigliere regionale di Rifondazione, che si è dato da fare per sventare il pericolo, che da un lato  mi rassicura per l’immediato mentre dall’altro non riesce ad avere la sicurezza che la principale istituzione locale non voglia allontanare presto  i profughi dalla città. So anche che i profughi mi avevano cercato.

 

Al mio arrivo al campo vengo informato che  è arrivata la convocazione a Roma davanti alla commissione centrale per i primi 5 richiedenti asilo. Piccolo problema: non hanno i soldi per pagarsi il viaggio. Gli uffici della Questura che hanno consegnato la convocazione dicono che non devono dare nulla e rimandano alla Prefettura che dovrebbe erogare i contributi previsti. Ma pare quasi certo,  che le richieste alla Prefettura, per il tramite della Questura, non siano state inoltrate  o lo siano state con notevole ritardo, per motivi “burocratici”.

 

Noto che il container dei rifiuti è stracolmo e che una montagnola si è formata al suo fianco; vengo informato che  l’azienda dei servizi municipalizzati non passa da lì da più di un mese nonostante ripetuti solleciti telefonici.

 

 

 

LA TESTIMONIANZA DI MARIA

 

Alla richiesta se ci siano altre novità mi dicono che i vigili hanno il solito atteggiamento di disturbo e molestia  nei loro riguardi, soprattutto quando chiedono l’elemosina, il che rende ancora più esigui i loro introiti giornalieri, a volte si arriva a due euro al giorno. A titolo di esempio mi portano il caso di una giovane donna che è stata prelevata ad un semaforo e portata in montagna ed abbandonata ai margini di un bosco, da dove ha dovuto tornare da sola.

 

Chiedo di parlare con la ragazza, viene con il marito, conosce poco l’italiano, ma con l’aiuto dei presenti e del marito riusciamo ad intenderci. Le chiedo se mi vuole parlare dell’episodio, acconsente. Sorge una discussione animata fra il marito ed un altro rom, naturalmente non capisco ciò che si dicono, poi mi confermano ciò che avevo intuito: il marito teme ritorsioni e ritiene più prudente che la moglie non dica niente. Rispondo che capisco i loro timori e che non mi stupisco se non si sentono di parlare, assicuro comunque che non farò il nome della ragazza, e che potrebbe essere utile a tutti render pubblico ciò che le è accaduto. Alla fine la ragazza ed il marito acconsentono e la giovane è disposta a rilasciarmi nuovamente la testimonianza su un registratore, cosa

che penso di fare .nei prossimi giorni.

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 Di seguito ho trascritto fedelmente la testimonianza che mi è stata rilasciata questa sera alle ore 19,  il nome è, come da accordi, di fantasia. Anche l’età è stata leggermente modificata.

 

“Mi chiamo Maria, ho venti anni ed abito al

campo di via Labirinto con mio marito e con i miei bambini.

 

Circa due settimane fa mi trovavo al semaforo

di via Oberdan a chiedere l’elemosina quando

sono stata fermata da due vigili comunali, una

donna ed un uomo, la donna aveva i capelli neri

e lunghi ed una piccola cicatrice orizzontale di due

centimetri circa sotto un occhio [Maria si è segnata

sotto l’occhio destro, distanziando pollice e indice

di circa 2 cm - ndr], l’uomo aveva i capelli corti

brizzolati o grigi.

 

I due mi hanno imposto di salire in macchina,

alle mie resistenze l’uomo ha minacciato di picchiarmi.

Mi hanno portata alla loro caserma vicino a via Milano

ma non siamo entrati, ci siamo fermati all’ingresso, lì

hanno parlato con un altro vigile.

 

Dopo di che con un viaggio di mezz’ora mi hanno portata

fuori città in salita in un posto che sembrava montagna

[nel territorio del comune di Brescia c’è il monte Maddalena,

alto circa 900 mt, inoltre da Brescia si possono raggiungere

in breve tempo diverse località montagnose della Valle Trompia – ndr]

mi hanno fatta scendere ai margini di un bosco e se ne sono andati.”

 

fine della testimonianza

 

NON È STATO UN BRUTTO SOGNO.

 

Ringraziamo l’amministrazione comunale per aver allevato un bel gruppetto di nazisti fra i suoi dipendenti.

Forse a qualcuno darà fastidio sentirlo dire, ma penso ancora che se arriveremo ad un altro sterminio degli “zingari” la strada per la nuova Auschwitz sarà passata anche da Brescia.

 

Ciao e buona lotta a tutti e a tutte

BRESCIA 02/07/2002                                     Luigino