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Gerardo Monizza


Siamo contro la guerra o siamo antiamericani?

L’arroganza del potere dei vertici degli Stati Uniti, l’incapacità degli stati guida e la leggerezza del governo italiano ci hanno portato in una situazione paradossale. Chi è contro la guerra Usa-Iraq (e già questo è improprio. Megliodire: degli Usa contro l’Iraq) non è certo a favore del dittatore Saddam Hussein. Di contro non tollera neppure la politica prepotente di Bush, ma non è contro il “popolo” americano.

La situazione si può schematizzare facilmente: il mondo non tollera più le prepotenze ingiustificate.

 

La “Società civile” planetaria non parteggia né per Saddam né per Bush e pensa ai popoli iracheno e americano come a vittime della politica dell’arroganza, diverse eppure uguali. Gli Stati Uniti – si dirà – Bush lo hanno eletto democraticamente (e tuttavia il presidente non rappresenta che una minima parte di votanti); il popolo dell’Iraq ha in Saddam Hussein un dittatore, dal quale non è riuscito a liberarsi.

Accusare gli oppositori della guerra in corso (e di tutte le guerre!) di “antiamericanismo” è talmente sciocco da non essere un insulto. Rivela – anche – una totale incapacità di analisi della situazione che vede i popoli in diretto e costante contatto (internet e i media hanno favorito la comunicazione costante) e che neanche si preoccupano di seguire, ascoltare, sostenere i loro governi.

 

I popoli dell’America, dell’Europa e dell’Iraq non sono in guerra.

 

Il conflitto è stato deciso ai vertici ed è sostenuto da un manipolo di militari di carriera (non mercenari – in senso stretto – solo perché “servono” una sola nazione, ma ben pagati) e finanziato dal potere economico internazionale il quale – comunque vadano le cose – ci guadagna sempre; tanto che – con cinico tempismo – già pensa alla ricostruzione.

 

Ma il mondo progredisce. La società civile internazionale ha ben capito che solo un nuovo e diverso rapporto tra le nazioni e gli individui può aiutare a superare le differenze sociali, culturali, religiose, economiche e politiche che spezzano gli Stati. La società civile del mondo è consapevole che - oggi – neppure una sporca guerra riesce a separare i popoli.


 

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