----- Original Message ----- From: giap@wumingfoundation.com To: giap@wumingfoundation.com Sent: Monday, April 01, 2002 3:30 PM Subject: no/Giap/ - Palestina - guerra civile globale
- Dal cuore della guerra globale permanente
- Le ragioni di un popolo sono il male
- Lettera aperta di Wu Ming 4 a "quei pazzi che si sono messi in mezzo"
1---------------------------------------
DAL CUORE DELLA GUERRA GLOBALE PERMANENTE Documento dei Disobbedienti che partecipano alla missione "Action for
Peace"
31 marzo 2002
I pensieri scorrono con fatica, appesantiti dal piombo e sporcati dal
sangue che piove su questa terra. Se scegliessimo di arrestarli, per il fatto che maturano in mezzo al fuoco, con Arafat assediato a Ramallah e gli M16 dell'esercito israeliano che vomitano pallottole e morte per ogni dove commetteremmo un errore imperdonabile. Mentiremmo a noi stessi.
Bisogna scandagliare le impressioni generate nel silenzio della nostra
impotenza. Dar loro voce. Perche', per paradosso, osserviamo il mondo da un punto di vista privilegiato. Dal cuore della guerra globale permanente.
Non c'e' piu' nessuna crisi mediorientale. Nessun inasprimento del clima o
peggioramento della situazione. Qui, come in altri territori dell'Impero, c'e' guerra permanente, senza fine. Non ci sara' mai piu' una guerra del Golfo o del Kossovo, mai piu' una guerra fra stati, una guerra che inizia e finisce. Non si intravede alcun dopoguerra nel quale godere della pace.
Eravamo venuti a parlare di pace. Ed abbiamo finito le parole. Non
possiamo farci portavoce di una morale e di una retorica d'oltremare che riecheggia ipocrita nelle parole del presidente Bush o dei governanti dei paesi dell'Unione Europea o dei paesi arabi che chiedono pace. Sono vassalli di un Impero che scrive con la guerra la propria costituzione materiale e che e' disposto a difendere le sue eli'te a qualunque costo. Soprattutto se si avvia a barattare il massacro del popolo palestinese con il placet
ad una guerra in Iraq. Non ci spiegheremmo, altrimenti, l'immobilismo e
l'inazione di "stati sovrani" che si sono affannati ad intervenire tempestivamente, e di comune accordo, ai tempi delle "operazioni di polizia" in Kuwait o della "guerra umanitaria" in Kossovo.
Non c'e' che guerra nelle strade di Ramallah, nei campi profughi di
Bettlemme, ai check points di Ram e Kalandia e in mille altri luoghi.
Non e' solo il conflitto israelo-palestinese, e' la guerra globale che ha
diversa intensita' e diverse gradazioni, nello spazio e nel tempo, ma e' la stessa guerra.
E' la stessa che si combatte nei paesi dell'area andina, devastati dal
Plan Colombia, la stessa delle piantagioni di soia nel Karnataka, la stessa dell'Argentina, accompagnata dal rumore dei mestoli sulle casseruole, la stessa guerra combattuta nelle strade di Genova. E' la guerra in Iraq, anno del signore 2002.
Viviamo un imbarazzo, un'impotenza. Eravamo partiti con le nostre sagge e
ragionevoli categorie custodite nelle sacche degli zaini e le abbiamo riconosciute come strumenti inservibili.
Non c'e' piu' spazio per "Action for Peace". C'e' bisogno di "Action
against the Global War".
Se il concetto di guerra non e' piu' lo stesso, non e' lo stesso nemmeno
il concetto di pace. La pace non puo' piu' essere la sospensione delle ostilita' fra gli stati. Gli stati sono bugie dell'Impero, come conferma la colpevole inazione dell'Onu che pure riconosce l'autorita' nazionale palestinese umiliata e minacciata, in queste ore, dalle milizie del governo Sharon. Anche le sospensioni delle ostilita' saranno bugie fino a quando non saranno costituite reti globali di resistenza, disobbedienza, e diser
zione alla guerra capaci di arrestarla prefigurando nuove prospettive di
vita e di liberazione.
Eravamo venuti a fare interposizione con i nostri corpi e abbiamo
conosciuto corpi di quindici, sedici, o diciassette anni scagliati come bombe umane contro altre vite ed altri corpi. Eravamo venuti a parlare con la societa' civile israeliana e abbiamo conosciuto coloni che portano in spalla gli stessi mitra della polizia nazionale, gli stessi dell'esercito. Parlavamo di pace ed iniziamo a vedere con orrore l'eventualita' di una pace armata, la possibilita' di un congelamento della sopraffazione e delle in
numerevoli violazioni della dignita' che e' costretto a subire oggi il
popolo palestinese.
Attraversando i territori occupati e ascoltando le parole dei messi
imperiali, d'America e d'Europa, ci siamo convinti sempre di piu' che occorre schierarsi. Combattere. Anche se questo, per noi, qui ed ora, puo' voler dire soltanto sfidare una selva di pallottole nelle strade di Ramallah per portare cibo e medicinali a Yasser Arafat o donare il sangue ad uso esclusivo degli uomini, delle donne e dei bambini che rischiano la vita negli ospedali palestinesi.
Chiedere la pace e' come chiedere nulla. Lo sanno bene i riservisti
israeliani che pagano con il carcere le proprie diserzioni. Lo sanno bene i palestinesi conosciuti a Bettlemme, pronti a difendere le proprie case con il fucile sulle spalle. Adesso lo sappiamo anche noi. Da quando siamo venuti a conoscenza del fatto che ottocento dei mille bambini palestinesi uccisi sono stati freddati con una pallottola sulla fronte non abbiamo piu' alcun dubbio.
Costruire un altro mondo possibile vuol dire, prima di ogni cosa, con
tutte le proprie forze, combattere contro la guerra globale permanente. Sabotarla. Disertarla. Essa e' oggi, sempre e soltanto, guerra contro i civili. Ma l'opposizione alla guerra non puo', non deve trasformarsi anch'essa in guerra contro i civili, come e' oggi in Palestina nella follia disperata dei kamikaze. Mai.
Deve trasformarsi, al contrario, in conflitto per la democrazia. Dal laboratorio di dubbi e di linguaggi che e' stata per noi la Palestina,
portiamo a casa questa piccola grande certezza.
Un anno fa, esattamente in questo periodo, tornavamo da un altro viaggio.
Era la marcia della dignita' indigena del SubComandante Marcos e dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
In Chiapas abbiamo imparato che resistere alla guerra globale, resistere
al neoliberismo non vuol dire stare fermi, attestarsi a difesa dell'esistente. Vuol dire resistere e, al contempo, indicare altre strade e altre possibilita' di vita, di autogoverno, di democrazia radicale.
Questo ci hanno insegnato le donne egli uomini che sono del colore della
terra. Ieri era il 30 di Marzo, la giornata della terra per l'appunto. Qui si e' conosciuto soltanto l'ennesimo giorno di fuoco.
2----------------------------
LE RAGIONI DI UN POPOLO SONO IL MALE Comunicato di Wu Ming, notte tra il 31 marzo e l'1 aprile 2002
Guardare l'oscurita'. Il buio nella canna della pistola. Su Al Jazeera, una fila di prigionieri in ginocchio, mani legate dietro la
schiena.
La soluzione finale e' un'opzione come un'altra. Bush sfoggia una camicia
di jeans e un cinturone da cowboy. Spiega che Sharon ha ragione. Non e' forse in atto una guerra contro il male? In questo momento le ragioni di un popolo sono il male.
Rastrellamenti, esecuzioni di massa. Non vale nulla dire che tutto questo
e' inaccettabile.
Il valore della testimonianza. Fionde. Pietre. Proclami. Vergini imbottite
di tritolo. Scudi umani. Casa per casa: tutti gli uomini dai quindici ai quaranta.
Dove hai gia' visto tutto questo? ..Armenia 1916. Varsavia 1939. Santiago del Cile 1973. Buenos Aires
1976...
Contro i terroristi tutto e' giustificabile. Sono il Nemico Globale. Gli incidenti diplomatici rientrano nel quadro. Anche i proiettili alla
nuca.
Arafat dice: chiamatemi Generale. E chiude il telefono in faccia alla
giornalista CNN.
E' sempre stato un "terrorista", Mr. Arafat. Premio Nobel per la pace. La Diplomazia preme per una soluzione diplomatica. Il Papa dice: salvate
la vita al signor Arafat. Chirac dice: salvate la vita a monsieur Arafat. Lo dicono i francesi, gli italiani e i belgi. Come nelle barzellette. Lo dice l'ONU. Lo dicono gli svizzeri. Lo dicono perfino gli americani, eccetto il loro presidente, che invece dice: "Ok, Ariel, go ahead!". E Ariel va avanti.
Ma chi c'e' la', in quelle due stanze, con il generale? Chi e' riuscito a
entrare, a portargli soccorso, a impedire che venisse catturato, forse ucciso? Italiani, francesi, svizzeri... Jose' Bove', prima che lo arrestassero e lo chiudessero in una caserma. Mauro Bulgarelli, deputato dei Verdi italiani. Decine di anonimi pacifisti. Senza piu' spazi di manovra. Stretti in quelle due stanze. Anche chi non c'e'. Anche chi e' a Gerusalemme. Anche chi e' qui.
Questi sono i diplomatici sul campo. Nessun altro. Diplomazia dal basso.
Diplomazia fai-da-te. La societa' civile globale nell'epoca della guerra civile globale. L'unico collegamento tra il popolo palestinese e il resto del mondo. I diplomatici, quelli "veri", si sono eclissati dietro l'ennesima, inutile risoluzione dell'ONU e gli appelli generici alla pace. Ma anche Sharon vuole la pace. Quella della tabula rasa.
Per quanto tempo ancora sara' possibile tenere aperto uno spiraglio tra i
kamikaze e i carri armati?
Pochissimi stanno provando a rispondere. Circondati a Ramallah.
3--------------------------
LETTERA AI DISOBBEDIENTI DELLA CAROVANA ACTION FOR PEACE IN PALESTINA Wu Ming 4, 1 aprile 2002
Vi scrivo da qui, da poche migliaia di chilometri di distanza, da un altro
pianeta, lo stesso pianeta. Vi scrivo per dirvi che davvero non esiste piu' un posto nel mondo in cui non ci si senta coinvolti nella guerra globale permanente, cosi' come nella vostra impresa contro di essa.
Ve lo dice uno che da giorni e notti da' il cambio ai compagni davanti
alle televisioni, a Internet, in costante comunicazione con voi via telefono: Al Jazeera, captata via satellite e tradotta all'istante da un compagno marocchino, la CNN e la BBC, i siti delle agenzie di stampa del mondo occidentale e del mondo arabo, i cellulari. L'infosfera globale che brucia le distanze parla di voi.
Gli occhi del mondo sono puntati su quelle due stanze a Ramallah. E su
quei pazzi che si sono messi in mezzo. "I pacifisti". I pacifisti senza pace e senza piu' spazio.
Lo avete scritto nel vostro documento: non c'e' piu' nessuna pace a cui
alludere. Forse soltanto spiragli, poche decine di metri, che si devono allargare, non in nome di una pace ormai fuori dall'orizzonte, ma contro la guerra civile globale. Avete ragione. Da qui si respira lo stesso senso di fine e di impotenza che mi comunicate al telefono. E' vero, il margine politico della vostra missione e' stato schiacciato dai carri armati, fatto esplodere dai kamikaze, affogato nel sangue. E rispondere a tutto cio
' con i propri martiri della pace non servirebbe a niente. Ma l'infosfera e quel barlume di buon senso che mi rimane, dicono anche
un'altra cosa. Una cosa importante.
La sensazione che pervade tutti e' che quello che state facendo in questo
momento ha un'efficacia simbolica enorme. Vorrei dire epocale.
Sharon va avanti, Bush va avanti, il sangue tracima sotto gli occhi
dell'Europa. Li' ci siete soltanto voi. Soltanto voi state dimostrando al mondo che e' possibile esserci. La vostra lezione di diplomazia internazionale dal basso ha preceduto quella dell'impero, l'ha sputtanata, resa ridicola, gonfia com'e' di parole inutili, di sangue barattato con altro sangue.
Voi siete li', compagni. Siete in quelle due stanze. Circondati dai carri
armati. A tenere aperto il barlume di quello spiraglio.
Non potete impedire il massacro. Nemmeno l'assedio ad Arafat e a un intero
popolo. Ma dare una lezione di dignita' al mondo, restituire alla societa' civile l'idea, la sensazione, anche disperata, di cio' che e' possibile, questo si'. Questo state facendo, compagni. State dicendo che non si puo' sempre stare a guardare. State dicendo a un popolo sopraffatto che non e' rimasto solo, che quella non e' la sua guerra, ma la guerra di tutti, la guerra contro l'umanita'. State dicendo a noi, dovunque siamo, in q
uesto altrove cosi' vicino, che non c'e' alcuna ineluttabilita' a cui
arrendersi. Che finche' saremo vivi non smetteremo di immaginare qualcosa di diverso dal massacro generalizzato che ci circonda. A Ramallah, come in Colombia, o in Afghanistan. Ci state dicendo che essere vivi, per noi che ancora possiamo esserlo, per noi che non siamo costretti ne' vogliamo immolarci distruggendo altre vite, che non vogliamo contrapporre piombo a piombo, essere vivi e' questo. E' solo questo. Continuare testardamente a
pensare che un altro mondo e' possibile. E innanzi tutto dimostrarlo al
mondo.
Voi lo state facendo, insieme ai palestinesi che resistono, insieme ai
disertori israeliani, insieme ai pacifisti internazionali, lo state annunciando dal cuore della guerra globale. E anche se la disperazione mi schiaccia le parole in gola, mentre guardo le immagini della fine in televisione e ho paura per ognuno di voi, io vorrei dirvi che la vostra debole forza e la sua grande consapevolezza tengono viva la mia speranza. Il mio amore per qualcosa di diverso da tutto questo.
Vorrei dirvi, compagni miei, che sono al vostro fianco. In quell'albergo,
in quell'ospedale, in quelle due stanze. Sono con voi.
Federico Guglielmi (alias Wu Ming 4), Bologna, Pianeta Terra, 1 aprile
2002