N.E.
BALCANI #669 - BOSNIA-ERZEGOVINA 15 maggio 2003
OPERAZIONE
DI MORTE A SREBRENICA di Emir Suljagic - ("Dani" [Sarajevo], 9 maggio
2003)
Momir Nikolic, uno degli organizzatori del massacro di
Srebrenica, ammette il proprio ruolo nel crimine e ne ricostruisce le
modalità
E' sempre stato solo un opportunista. Nella Jugoslavia
socialista è stato docente ONO e DSZ presso la scuola superiore di Bratunac, un
posto riservato solo ai membri più fedeli del partito. All'inizio del mese di
gennaio 1992 è diventato membro del Comitato di crisi del SDS a Bratunac per poi
essere promosso alla fine di quell'anno a ufficiale addetto alla sicurezza nella
Brigata di Bratunac dell'Esercito della Republika Srpska (VRS). Dopo la caduta
di Srebrenica, nel luglio 1995, è diventato un assassino. Momir Nikoic è stato
tutto questo per un solo e unico motivo: perché così richiedeva la
situazione.
Nel pomeriggio di martedì 6 maggio, accompagnato da due
guardie, indossando un abito verde scuro e con evidente nervosismo, Momir
Nikolic è stato portato in una sala di tribunale. Nell'attesa che cominciasse
l'interrogatorio è rimasto seduto mordendosi le labbra, guardandosi attorno solo
di tanto in tanto. Aveva l'aria di uno il cui desiderio è quello che tutto
finisca il più presto possibile. Otto anni fa non sapeva nulla; sei anni fa non
si ricordava di niente; un anno dopo essere stato arrestato nella casa di
famiglia a Bratunac, Nikolic si è dichiarato colpevole di crimini contro
l'umanità e ha accettato di testimoniare contro gli altri incriminati. In
cambio, il pubblico ministero ha accettato di ritirare gli altri quattro capi
d'accusa nei suoi confronti.
LA PIANIFICAZIONE DELLE
UCCISIONI
Ricordiamo: era accusato di genocidio a Srebrenica insieme al
comandante della Brigata di Bratunac, Vidoj Blagojevic, al capo del comando
della Brigata di Zvornik, Dragan Obrenovic, e al capo ingegnere di tale brigata,
Dragan Jokic.
La sua ammissione di colpa probabilmente è la maggiore
svolta nei sette anni di indagini condotte su Srebrenica dalla pubblica accusa
dell'Aia. La sua dichiarazione di colpevolezza è particolarmente importante
perché è Nikolic di Bratunac, perché conosceva la maggior parte delle proprie
vittime, così come conosce anche quelli che sono sopravvissuti. In città era
stimato, così come dopo la guerra era temuto.
Nikolic ha passato tutte le
fasi: da quella di partecipante a uno dei più grandi crimini di massa
nell'ultima metà dello scorso secolo, fino a quella di revisionista negli anni
dopo la guerra e a quella di pentito un anno dopo nella prigione ONU di
Scheveningen. Solo sette anni fa, rispondento alle domande di Elizabeth Neufer,
giornalista del "Boston Globe", affermava di non sapere nulla dei massacri a
Srebrenica. "Mi chiede di commentare qualcosa di cui non so assolutamente
nulla", aveva detto.
Particolare altrettanto importante: accettando
l'accusa, Nikolic per la prima volta ha illustrato i dettagli della
pianificazione e dell'esecuzione di questo omicidio di massa. Una dichiarazione
di colpevolezza che fa gelare il sangue nelle vene, in parte anche per l'arido
linguaggio burocratico con il quale è scritta; porta alla luce chi, quando,
come, dove e in quale modo ha ucciso le diecimila persone. Perché? - una domanda
alla quale non c'è ancora risposta.
"La mattina del 12 luglio 1995 mi
sono incontrato con (...) il tenenete colonnello Vujadin Popovic, capo della
sicurezza del Corpo d'armata della Drina, e con il tenente colonnello Kosoric,
capo dei servizi informativi del Corpo d'armata della Drina. In tale occasione
il tenente colonnello Popovic mi ha detto che tutte le donne e i bambini
musulmani che si trovavano a Potocari dovevano essere portati via in direzione
del territorio sotto controllo musulmano nei pressi di Kladanj e che gli uomini
abili al combattimento che si trovavano nella massa dei civili musulmani
dovevano essere separati, incarcerati temporaneamente a Bratunac e
successivamente uccisi".
Ricordiamo, Srebrenica è caduta la sera dell'11
luglio. Tra la decisione di uccidere tutti gli uomini e la caduta dell'enclave
era passata solo una notte. Nei sette giorni successivi bisognava preparare
tutto, organizzare gli autobus, i camion, gli alloggi, il carburante, trovare i
luoghi in cui effettuare le uccisioni... Era una grande operazione. E Nikolic
ancora una volta ha datto tutto se stesso.
"Il tenente colonnello Kosoric
ha aggiornato tali informazioni e abbiamo discusso dei luoghi adatti per
rinchiudere gli uomini musulmani prima di ucciderli", ha raccontato. Nikolic
racconta di avere "indicato alcuni luoghi concreti" nel corso di tale colloquio:
una vecchia scuola elementare e media, e un hangar. "I tenenti colonnelli
Popovic e Kosoric hanno parlato con me dei luoghi in cui sarebbero stati uccisi
gli uomini temporaneamente rinchiusi". Poi hanno "discusso nei dettagli" di due
luoghi possibili, la fabbrica di mattoni della città e la miniera
Sase.
Secondo le sue ammissioni, Nikolic nel corso della stessa giornata
ha "coordinato e supervisionato il trasporto delle donne e dei bambini verso
Kladanj, nonché la separazione degli uomini abili al combattimento". Il massacro
ha coinvolto molte più persone di quanto sembrava in un primo momento, o di
quanto chiunque avesse voluto.
Alla deportazione ha partecipato
direttamente anche la polizia speciale della Republika Srpska (RS) e il suo
capo, Dusko Jevic, ha passato tutta quella giornata con Nikolic a Potocari.
Oltre a loro, in tale grande impresa dovevano essere coinvolte tutte le unità
che avevano partecipato al precedente attacco contro la città. Oltre alla
polizia speciale, al fianco di Nikoic c'erano anche "la polizia militare del
Corpo d'armata della Drina sotto il comando del maggiore Petrovic, il 'lupo
della Drina', truppe della 10a sezione diversionista, truppe della polizia
militare del 65o reggimento di difesa, il 2o e 3o battaglione di fanteria della
Brigata di Bratunac e la polizia civile con pastori tedeschi".
IL
TRASPORTO E IL MASSACRO
Uno dei particolari che indica con quale
attenzione sia stato messo a punto l'intero piano è, tra gli altri, il fatto che
nei primi convogli di civili che hanno lasciato Potocari il 12 luglio vi erano
anche alcuni uomini. "E' stato fatto così appositamente per i soldati olandesi e
le telecamere della televisione serba, ma quegli uomini sono stati
successivamente separati presso i punti di controllo, prima che potessero
arrivare a Kladanj".
Dopo questo trucco propagandistico, la deportazione
ha potuto continuare. Ma, con l'andarsene delle telecamere, sono stati tolti
tutti i freni ai soldati serbi. Nikolic ha ammesso come subito dopo, infatti, i
soldati serbi abbiano "malmenato e aggredito fisicamente" i civili. "Io ero
personalmente a conoscenza di questi atti, ma non ho fatto nulla per fermarli,
né per impedire alle forze sotto la mia supervisione di compierli".
Il
Nikolic di quei giorni me lo ricordo come un uomo lontano, quasi
irriconoscibile. Arrivava alla base ONU a Potocari su una Zastava con le
sospensioni sfondate, in compagnia del cognato Petar Uscumlic, traduttore degli
osservatori militari. Ma quel giorno traduceva solo per Nikolic. Petar, in una
conversazione svoltasi a Potocari alcuni giorni dopo, ha rassicurato Hasan
Nuhanovic di non avere visto i suoi genitori nello stadio di Bratunac. Nikolic
allora sapeva benissimo quale era stato il loro destino.
Il 12 luglio
sera faceva già arrivare il primo rapporto al suo comandante, Blagojevic. "Ho
raccontato anche dell'operazione di trasporto delle donne e dei bambini (...)
così come dell'operazione di separazione, reclusione e uccisione degli uomini
abili al combattimento. Mi era chiaro che il colonnello Blagojevic era
completamente a conoscenza dell'operazione di trasporto e uccisione e che si
attendeva che io proseguissi".
Il 13 luglio mattina, presso il comando
della Brigata di Bratunac, si è tenuto un incontro tra Ratko Mladic e Vujadin
Popovic, Dragomir Vasic e Radislav Krstic. Nikolic dice di non avere partecipato
a tale riunione, ma quindici minuti dopo che era terminata, aveva ricevuto da
Blagojevic l'ordine di continuare il lavoro del giorno precedente. E ha eseguito
quanto gli era stato ordinato.
Quel giorno, comunque, Nikolic si era
incontrato con Mladic a Konjevic Polje. Lungo tutta la strada tra Bratunac e
Konjevic Polje vi erano prigionieri. Mladic era arrivato sul posto circa all'una
del pomeriggio. "E' uscito dalla vettura e ci siamo incontrati a metà strada.
Gli ho fatto rapporto spiegandogli che non c'erano problemi. Si è guardato
attorno e ha visto i prigionieri". Alla domanda di un prigioniero che temeva per
il proprio destino, Mladic ha detto di "non preoccuparsi, che li avrebbero
portati tutti via di lì".
"Dopo che Mladic se ne è andato, ho portato con
la mia automobile a Bratunac uno dei prigionieri, Resid Sinanovic. Sinanovic era
un prigioniero importante, perché era nell'elenco dei criminali di guerra e in
precedenza era stato capo della polizia a Bratunac". Quando è arrivato in città,
racconta, lo ha consegnato al comandante della Polizia militare, Zlatan
Celanovic. Di Resid Sinanovic da allora si è persa ogni traccia.
Nikolic
è quindi tornato a Konjevic Polje, su un trasportatore olandese rubato, dal
quale il suo poliziotto Mile Petrovic invitava la gente a consegnarsi. "Subito
dopo avere attraversato Sandic, abbiamo fermato il trasportatore quando ci si
sono consegnati sei musulmani". Li hanno portati a Konjevic Polje, dove dovevano
unirsi al gruppo più grande di prigionieri che si trovavano già sul posto.
"Abbiamo sentito provenire da vicino raffiche d'arma da fuoco. Una decina di
minuti dopo è venuto da me Mile Petrovic e mi ha detto: 'Capo, ho appena
vendicato mio fratello... li ho uccisi'". Tutti e sei.
L'APPELLO DI
MLADIC
A Bratunac continuavano ad arrivare prigionieri. Stava calando
l'oscurità, non c'erano mezzi di trasporto e non era possibile portarli a
Zvornik, dove dovevano essere uccisi. "Si veniva così a creare una situazione
molto instabile. Per risolverla, il colonnello Ljubisa Bear, Miroslav Deronjic,
Dragomir Vasic e io ci siamo incontrati nei locali del SDS a Bratunac".
Deronjic, che Radovan Karadzic in quei giorni aveva nominato amministratore
civile di Srebrenica, era preoccupato più di tutti gli altri per la sicurezza
della città.
"Durante l'incontro si è parlato apertamente dell'operazione
di uccisione e tutti i partecipanti hanno affermato di avere presentato i loro
rapporti ai propri superiori", racconta Nikolic. Alla fine è stato comunque
raggiunto un accordo secondo cui i prigionieri sarebbero stati ancora
sorvegliati "da truppe della Polizia militare della Brigata di Bratunac, da
diverse forze civili del Ministero degli Interni e da volontari armati di
Bratunac". Era un crimine in cui dovevano essere coinvolti tutti.
Già il
giorno dopo, 14 luglio, la maggior parte dei prigionieri era stata trasportata a
Zvornik. Alcuni, però, non hanno mai lasciato Bratunac. "Ho ricevuto un rapporto
secondo cui la sera del 13 luglio circa 80-100 musulmani erano stati uccisi
nell'hangar presso la scuola Vuk Karadzic. I loro corpi sono stati buttati sul
pendio di un colle e poi sotterrati.", spiega Nikolic. Anche quelli che sono
stati uccisi a Zvornik sono stati uccisi nelle giornate immediatamente
successive.
L'operazione è durata fino all'autunno 1995 e i soldati di
Nikolic hanno catturato e ucciso i sopravvissuti che per mesi hanno vagato per i
boschi. Quando anche questi sono stati uccisi, bisognava nascondere tutte le
tracce dei crimini. E ancora una volta è stato compito di Momir
Nikolic.
"Nel periodo dal settembre all'ottobre 1995 la Brigata di
Bratunac ha riaperto, scavando insieme alle autorità civili, una fossa comune a
Glogova e altre fosse comuni contenenti vittime musulmane dell'operazione di
massacro, spostando i cadaveri in singole fosse disposte lungo un'ampia area del
territorio di Srebrenica", ha spiegato Nikolic nella dichiarazione da lui
firmata.
Anche questa volta ne aveva ricevuto l'ordine, afferma, da
Vujadin Popovic. A guerra finita le tracce fisiche del crimine erano state
distribuite in posti disparati e profondamente sotto il terreno, nel maggio del
1996 erano stati distrutti gli ultimi documenti riferentesi a quel periodo. Il
nuovo capo della sicureza del Corpo d'armata della Drina, Rade Pajic, è giunto a
Bratunac accompagnato da due suoi ufficiali; il successore di Nikolic al posto
di capo della sicurezza della Brigata di Bratunac, capitano Lazar Ostoji, e lo
stesso Nikolic hanno distrutto "i documenti che potevano compromettere me e la
Brigata di Bratunac".
Nonostante sembrasse un bersaglio molto evidente,
Nikolic è diventato oggetto di indagini dell'Aia solo nel dicembre 1999. Poco
prima del primo colloquio con i giudici istruttori, è stato invitato a un
incontro presso il comando della Brigata di Zvornik. "Lì mi sono incontrato con
il generale Andric, con Dragan Jokic, Lazar Ostojic, Dragan Jeftic e il generale
Miletic... il generale Miletic si è appellato al nostro patriottismo... e il
generale Andric ha detto che dovevamo dire il meno possibile". Subito dopo tale
incontro, Nikolic è stato visitato da agenti dell'OBS, che lo hanno avvertito
"di non dire nulla della loro partecipazione a questa vicenda".
Nikolic
questa volta non ha obbedito agli ordini. Trovatosi di fronte alla possibilità
di venire condannato all'ergastolo, oppure preso da rimorsi di coscienza, ha
ammesso sia i crimini sia il ruolo che egli vi ha avuto. E così come dopo
l'uccisione di 10.000 persone nulla è stato uguale a prima, anche dopo tutto
questo non lo sarà. Ora anche gli assassini sanno che li hanno
assassinati.
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