----- Original Message ----- From: Notizie Est info@notizie-est.com To: free@notizie-est.com Sent: Thursday, October 24, 2002 2:36 PM Subject: N.E. Balcani #586 - Bosnia-Erzegovina
N.E. BALCANI #586 - BOSNIA 24 ottobre 2002
FERMATE L'UOMO DEL PETROLIO di Jasna Hasovic-Jelisic - ("Dani" [Sarajevo], 11 ottobre 2002)
*Le manifestazioni contro la guerra svoltesi negli Stati Uniti viste dalla
prospettiva di una giornalista bosniaca**
Dopo avere fatto per due mesi reportage ininterrotti sulle dimostrazioni
anti-Milosevic a Belgrado ed essere sfuggita dai cordoni della polizia, dopo i brogli alle elezioni locali del 1996, nel poco tempo che noi reporter avevamo a quei tempi per dormire, sognavo di seguire delle manifestazioni antiregime in America.
Il sogno era così reale, e allo stesso tempo per me così incredibile nel
sonno, visto che le vicende del Vietnam si erano svolte più di un decennio prima della mia nascita, che subito mi svegliavo. Un mio collega di Odsjek, che si occupava di psicologia presso la facoltà di Filosofia di Belgrado ed era uno junghiano incorreggibile, mi aveva detto allora di considerare con attenzione i miei sogni,
perché il mio subcosciente voleva comunicarmi qualcosa.
Non posso quindi dire che "non mi sono mai nemmeno sognata di fare un
giorno dei reportage su dimostrazioni antiregime in America", perché lo ho sognato e non posso che dirmi fortunata per la realizzazione di questo mio sogno.
NON NEL NOME DI COLIN Le manifestazioni tenutesi la settimana scorsa nel Central Park di New
York sono state davvero una dimostrazione civica, chiara e massiccia di resistenza contro la politica di guerra del presidente W. Bush. "Non nel nostro nome", è stato lo slogan principale della manifestazione che in una domenica autunnale stranamente assolata ha raccolto nell'East Meadow più di 10.000 persone, secondo le
valutazioni degli organizzatori della coalizione "Not In Our Name".
Questa adunanza, di cui i media non hanno riferito, si è mossa verso
mezzogiorno, quando il fiume di gente ha cominciato a sfilare di fronte ai ricchi abitanti dell'Upper East Side di New York, che nei circostanti ristoranti di lusso stavano consumando il loro brunch domenicale. Innalzando striscioni che esprimevano tutto il disprezzo per il presidente Bush, per la sua amministrazione
guerrafondaia e per l'America delle corporation, la gente è affluita in
massa nelle arterie del potere economico americano, come la Lexington Avenue e Madison Park, riversandosi nella 97a strada, dalla quale si accedeva al settore est di Central Park, dove era previsto un comizio.
Era assolutamente superfluo domandare qualcosa ai dimostranti: tutto era
scritto sui loro grandi cartelli e suoi volantini che distribuivano in abbondanza. Si poteva entrare nel parco attraverso due ali di folla dietro ai banconi di varie organizzazioni non governative - dai gruppi antinucleari a quelli femministi - che quel giorno volevano fare sapere al mondo come non sia vero che il presidente
Bush parla e lavora a nome di tutti gli americani e che non bisogna
credere né a lui, né ai media sotto il controllo delle corporation.
"Stiamo facendo vedere che la gente in America non se ne sta zitta nel
momento in cui il suo governo conduce guerre nel mondo, incarcera gli immigranti e ci priva di libertà civili!", ha esclamato un uomo di mezza età che mi ha dato un badge verde sul quale scriveva: "Se la tua unica partecipazione alla democrazia dura dieci minuti all'anno quando voti, non otterrai che dieci minuti di
democrazia".
La protesta della settimana scorsa era il proseguimento di quella tenutasi
l'anno scorso nello stesso periodo, quando le ferite dell'11 settembre erano ancora aperte e 10.000 newyorchesi avevano marciato da Union Square a Times Square protestando contro i bombardamenti sull'Afghanistan.
Sull'unico palco si sono avvicendate persone che hanno risentito
direttamente delle conseguenze delle azioni militari americane all'estero e della repressione all'interno del paese. Hanno parlato artisti, scrittori, leader religiosi, famigliari di arabi internati, attivisti per i diritti umani e le libertà civili, femministe, esponenti della sinistra...
Sullo stesso palco si è fatta avanti, parlando a nome delle famiglie delle
vittime dell'11 settembre e visibilmente commossa, la sorella di Colin Kelly, morto nel World Trade Center. "Fermiamo Bush e questa folle guerra prima ancora che cominci. Mio fratello non è morto per l'uso di armi di distruzione di massa, ma per un apriscatole e per il pensiero unico al quale cerca di portarci ancora oggi
il governo. Dobbiamo dire 'no' alla guerra contro all'Iraq. Non nel mio
nome e non nel nome di mio fratello Colin!"
Gli organizzatori hanno quindi presentato un americano di origine afghana
che ha perso 18 membri della propria famiglia a causa dei bombardamenti americani sull'Afghanistan. Dopo di lui ha parlato una giordano-americana, il cui marito è stato incarcerato dalle autorità americane per otto mesi e mezzo senza che lei potesse potesse sapere qual era la sua sorte. Respirando a difficoltà per
l'emozione, si è presentata sul palco una donna con il velo, madre di tre
bambini, che sta lottando per il diritto di suo marito a tornare nel paese, perché le autorità americane, dopo averlo arrestato, sebbene non fosse stato scoperto alcun suo legame con il terrorismo, è stato deportato in Giordania e gli è stato vietato di tornare in America per dieci anni.
CHI HA VINTO? A nome dei lavoratori del Pronto soccorso che hanno partecipato alle
operazioni per salvare i sopravissuti tra le macerie del WTC, un uomo molto giovane ha dichiarato dalla tribuna che l'America ha già perso la guerra contro il terrorismo: "I terroristi hanno vinto la guerra perché l'11 settembre ci hanno fatto soffrire così tanto che la gente ha smesso di pensare. Hanno vinto perché la gente oggi
ascolta solo cosa le viene raccontato dai media, che sono controllati
dalle corporation e dal governo".
Mentre un gruppo reggae saliva sul palco, l'entrata di Central Park
rimaneva ancora affollatissima. Tra i manifestanti c'erano anche attivisti che portavano un grande sacco nero per la spazzatura, nel quale la gente gettava donazioni, principalmente biglietti da 10 e 20 dollari, per finanziare la prossima protesta. Sono stati distribuiti anche volantini nei quali si invitano i newyorchesi a unirsi
ai dimostranti che ogni giorno lavorativo, dalle 16 alle 18, protestano di
fronte all'edificio delle Nazioni Unite, invitando i rappresentanti dell'ONU a "fermare la banda di Bush drogata di petrolio e il presidente che con le elezioni ha sequestrato il potere e ha avviato una crociata contro l'intero mondo". "La banda di Bush ha cominciato a cambiare l'America falsificando i risultati elettorali
e adesso sta facendo pian piano a pezzi la Costituzione americana"
recitava un altro cartello, sotto il motto "Contro la guerra e l'avidità".
Oltre che a New York, la settimana scorsa si sono tenute manifestazioni
contro la guerra anche a San Francisco, Los Angeles, Chicago e Seattle. Le prossime dimostrazioni si terranno a Washington. Al centro delle proteste non vi sarà solo la guerra, ma anche la disoccupazione sempre maggiore, che in America ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 30 anni. Solo a New York più di 1,5 milioni di
persone dipendono dalla carità, affermano gli organizzatori, ricordando
che è questa la vera crisi che minaccia la sicurezza di decine di milioni di americani. Nel corso della protesta i dimostranti si dirigeranno verso la Casa Bianca, perché il presidente Bush prevede di spendere 200 miliardi di dollari (una cifra che, a quanto si dice, potrebbe essere anche superata) per la guerra e
l'occupazione dell'Iraq.
La coalizione internazionale A.N.S.W.E.R. marcerà il 26 ottobre chiedendo
lavoro, istruzione, assistenza sanitaria e per l'infanzia, contro la guerra dalla quale trarranno profitto la ExxonMobil e la Citibank, cioè l'America delle corporation.
Queste dimostrazioni, comunque pacifiche, non hanno visto la presenza
della polizia, almeno non quella in uniforme, e solo alcuni poliziotti regolavano il traffico sulla Quinta Avenue, all'entrata del Central Park.
Mentre il 7 ottobre scorso gli ultimi dimostranti contro la guerra
lasciavano Union Square all'angolo tra la 14a Strada e Broadway, i bombardamenti contro l'Afghanistan avevano inizio. Questo sei ottobre, dopo il ritorno dalle dimostrazioni non sono giunte notizie dell'inizio di nuovi bombardamenti e già solo dieci isolati più in giù, andando verso la Midtown, non si sentiva più l'adrenalina dei
manifestanti. La gente portava a spasso il cane, i turisti si affollavano
all'entrata del Guggenheim, mentre alcuni altri si dirigevano verso il Metropolitan. Ai margini del Central Park, di fronte all'hotel Plaza, un gruppo di danzatori di Harlem intratteneva un altro gruppo di turisti, che gettavano loro la carità in un sacco giallo.