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La caduta dei tiranni è invariabilmente accompagnata da un gran crollar di statue e di simboli di quel potere, cui fino a poco prima si dava obbedienza e rispetto. Labbiamo sperimentato noi italiani alla caduta della dittatura fascista. Lo sperimentano gli iracheni oggi, ché il raìs di Baghdad non detta più legge in Mesopotamia. Davanti alle immagini provenienti dallIraq di statue abbattute e folle festanti, così doviziosamente trasmesse in mondovisione da televisioni improvvisamente diventate loquaci e ricche di particolari, non posso evitare di ripensare alla descrizione che il Manzoni ci lascia dei tumulti milanesi dei Promessi Sposi. E ci risuonano alla mente le parole del Ferrer che si fa largo tra la folla: <<Adelante, Pedro, si puedes>>; <<Adelante, presto, con juicio>>. E pur a distanza di tanti anni dal Liceo, ce labbiamo ancora negli occhi quella folla che, ci narra il Manzoni, <<si moveva, davanti e di dietro, a destra e a sinistra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a una nave che avanza nel forte della tempesta>>. Il Ferrer, che doveva venire a portar giustizia agli occhi della gente, e invece veniva a portare inganno e menzogna: la folla e il povero Renzo Tramaglino ben presto avrebbero scoperto di che materia era fatta la giustizia degli spagnoli, e la peste era già alle porte. E quanto è diversa la folla, la gente, <<mille visi, mille barbe in aria>>, rispetto al popolo, quegli umili così pieni di rispetto e dignità, che il Manzoni ci tramanda; tutti rappresentati nella profuga Lucia, costretta a dare laddio alla casa, ai monti, al lago.
Quelle immagini di iracheni festanti sono lultima mossa, lultima di tante viltà cui siamo stati costretti ad assistere. Poiché se non è discutibile la sincerità e la gioia di quei visi che si liberano dei simboli del potere che fino al giorno prima li soggiogava e li violentava, rimane condannabile lazione di coloro che, come il Ferrer sarebbero venuti a portar loro giustizia e libertà.
Nelle stesse ore in cui la folla festante abbatteva statue e immagini ad uso delle televisioni occidentali, il popolo, donne uomini bambini, languiva negli ospedali ormai senza medicinali e anestetici, e spesso razziati essi stessi dagli sciacalli lasciati liberi di agire e di portar morte a loro piacimento. Ma questo le televisioni, troppo impegnate a celebrare la vittoria militare, non lo mostravano, se non collateralmente: i danni collaterali appunto.
La civiltà occidentale eredita dallantichità un concetto di tempo e di storia, come mera successione di eventi, come susseguirsi continuo di passato, presente e futuro. E questo susseguirsi nel nostro tempo ha assunto, lo sappiamo tutti, una frenesia assoluta e continua.
Se mai volessero significar qualcosa le immagini di qualche centinaio di iracheni che abbattono una statua, qualche centinaio si badi, e se pure dovesse essere sincera lazione dellesercito che li ha invasi, e noi sappiamo che non lo è, dobbiamo domandarci che significato possa avere una concezione del mondo e del tempo tutta occidentale applicata a quelle immagini, a quelle riprese televisive. Luomo del deserto, ci insegna Charles de Foucauld, vive una natura priva di orizzonti o i cui orizzonti sono dati dalla mutevolezza di dune sempre in movimento. Nel deserto non vi sono punti di riferimento. Luomo del deserto ritma il proprio cammino con la cadenza del rosario islamico, la lenta successione dei 99 nomi di Dio: 99 poiché il centesimo nessuno lo conosce. E così anche la preghiera si apre allinfinito, come il paesaggio arido e meraviglioso del deserto. Questo è luomo del deserto, cui noi vorremmo applicare stili di vita nostri e categorie occidentali. Un uomo che non conosce il tempo come noi lo conosciamo: dove il tempo e la storia si fanno lenta e paziente attesa, tessitura di mesi e di anni. Attesa dellindipendenza dei Palestinesi e dei Curdi. Attesa della pace degli Afgani. Attesa della libertà degli Iracheni; la libertà autentica, non quella imposta interessatamente dagli occidentali. I tempi del deserto non sono i tempi di Wall Street, ci verrebbe da dire. Solo a distanza di anni noi occidentali potremo comprendere dove si orienta il cammino di questi popoli. Ma allora forse non vi saranno televisioni occidentali a registrarlo, poiché quei popoli, ce lo auguriamo, avranno saputo liberarsene.
Luigi Lacquaniti
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