8 IDEE PER LA PACE IN IRAQ
da www.unponteper.it
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LA SITUAZIONE LEGALE
Quale è la attuale situazione dellIraq dal punto di vista del diritto internazionale?
LIraq non è un paese liberato, ma un paese occupato non si tratta di una nostra personale convinzione, ma di un dato di fatto in base al diritto internazionale. ("Un territorio è considerato occupato quando è effettivamente posto sotto la autorità di un esercito ostile." Art. 42 Le Hague Regulations - 1907)
Questo dato di fatto è stato riconosciuto innanzitutto dai governi di Stati Uniti e Gran Bretagna in una lettera al presidente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (S/2003/538) del 8 maggio 2003.
In seguito a tale lettera, il Consiglio di Sicurezza richiama, con la risoluzione 1483 (2003), le responsabilità e gli obblighi stabiliti dal diritto internazionale di questi Stati in quanto Potenze Occupanti .
Lo stesso Consiglio di Sicurezza espressamente dichiara che il giorno in cui gli iracheni governeranno loro stessi deve arrivare rapidamente e chiede alle Potenze Occupanti:
- di promuovere il benessere degli iracheni, in particolare ristabilendo condizioni di sicurezza (ris.1483 (2003) e 1511 (2003))
- il rispetto della legalità internazionale "in particolare delle Convenzioni di Ginevra e dei Regolamenti di Le Hague del 1907" (Ris. 1483 (2003)).
Quale è a posizione legale dellesercito Italiano in Iraq? Lesercito italiano non è in Iraq a seguito di una richiesta di un governo iracheno legittimo ed è inquadrato sotto il comando della Gran Bretagna, che è una Potenza Occupante. L'esercito italiano è quindi a tutti gli effetti parte delle forze di occupazione.
Anche questo è un dato di fatto. Si può anche sostenere, se si vuole, che è una occupazione "a fin di bene", ma non che non si tratti di una occupazione. La posizione italiana è quindi attualmente di violazione della legalità internazionale.
D'altronde i compiti dati allesercito italiano dal comando britannico sono: "stabilizzazione e ricostruzione" e cioè compiti che la convenzione di Ginevra e le risoluzioni dell'Onu assegnano proprio alle Potenze Occupanti.
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha legittimato la guerra e l'occupazione?
No. Non vi è nessun passaggio, nelle risoluzioni 1483 (2003) e 1511 (2003), che possa far anche lontanamente pensare ad una legittimazione a posteriori della guerra.
Nemmeno la occupazione è stata legittimata dal Consiglio di Sicurezza. Infatti il CdS chiede in tutte le sue risoluzioni il ritorno della sovranità ad un governo iracheno legittimo, riconoscendo con ciò esplicitamente che l'attuale amministrazione non è legittima, cioè che l'occupazione è illegale.
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu potrebbe legittimare la guerra o l'occupazione?
No. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che è un organo composto dai governi di 15 paesi, 5 dei quali membri permanenti, e non un organo elettivo, non può essere considerato un potere assoluto, ma deve sottostare alla Carta delle Nazioni Unite. Esso non può quindi, neanche volendo, legalizzare situazioni di illegalità internazionale, come una guerra condotta in assenza di una minaccia reale, né l'occupazione militare che ne è conseguita.
Se lo facesse, gli Stati, che sono vincolati in ogni caso al rispetto della Carta dell'Onu, non dovrebbero tenere conto di tali risoluzioni.
Quali sono gli obblighi delle Potenze Occupanti secondo le convenzioni di Ginevra e sono attualmente rispettati? In estrema sintesi, le Convenzioni di Ginevra e i relativi protocolli aggiuntivi impongono alle Potenze Occupanti di:
- farsi carico del benessere della popolazione soggetta
- custodire i beni e le ricchezze del paese occupato
- considerare coloro che si oppongono alloccupazione come combattenti e riservare loro il trattamento conseguente, compreso quello relativo ai prigionieri di guerra
Nessuno di questi tre obblighi è rispettato. Maggiori dettagli...
LA SITUAZIONE DELLA GENTE
Quale è la situazione umanitaria in Iraq?
La situazione umanitaria in Iraq è gravissima. Da molti mesi la maggior parte della popolazione è senza alcun lavoro e di conseguenza senza stipendio. Lenergia elettrica non è ancora stata ripristinata regolarmente: il che vuol dire che manca anche lacqua. La gran parte della popolazione dipende per la propria sopravvivenza dalle razioni alimentari distribuite fino a novembre dal programma "Oil for Food" dell'Onu, e che si spera proseguano sotto la responsabilità degli occupanti. Questa situazione è dovuta non solo alla guerra, ma in gran parte al fatto che l'Iraq è stato per 13 anni sotto un embargo durissimo.
A questa precaria situazione si è aggiunta una situazione grave dal punto di vista della sicurezza: saccheggi, furti e rapirne si susseguono come conseguenze della povertà, ma anche di bande di delinquenza organizzata. Stupri e sparizioni di donne ed anche di bambini sono aumentati.
La decisione del governatore Bremer di sciogliere l'esercito e la polizia da un giorno all'altro ha privato il paese di qualsiasi organo di sicurezza interna, mentre l'esercito occupante si preoccupa più della sicurezza dei propri soldati che di quella dei cittadini iracheni.
Quale è la situazione dei diritti umani in Iraq?
Secondo Amnesty International "Le condizionoi di detenzione in Iraq nel campo dell'aeroporto di Baghdad e nella prigione di Ab Graib comprendono trattamenti e punizioni crudeli e inumane bandite dal diritto internazionale".
Secondo Human Rigths Watch gli Usa "non stanno facendo abbastanza per minimizzare le vittime civili come richiesto dal diritto internazionale", utilizzano "una tattiche iperaggressive, sparatorie indiscriminate in aree residenziali", "gli abitanti di Baghdad lamentano comportamenti aggressivi, abusi fisici e furti" durante le perquisizioni", i soldati Usa "sono stati visti mettere i piedi sulla testa dei prigionieri e toccare il corpo delle donne".
Amnesty e HRW hanno denunciato anche le violazioni commesse dalla resistenza con gli attacchi ai civili considerati collaborazionisti.
Quale sarà il costo (l'affare) della ricostruzione?
Il costo minimo della ricostruzione in Iraq è stimato in 56 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni (stime Nazioni Unite-Banca Mondiale e Coalition Provisional Authority per la Conferenza dei donatori di Madrid, ottobre 2003)
Stime più approfondite parlano di almeno 200 miliardi di dollari.
Chi gestirà la ricostruzione?
I piani per la ricostruzione sono attualmente gestiti da quattro organi, tutti e quattro statunitensi: il Dipartimento di Stato, il Pentagono, USAID (United States Agency for International Devolopment - lagenzia del governo Usa per gli aiuti allo sviluppo) e la CPA. Essi hanno sinora appaltato tutti i lavori esclusivamente ad imprese multinazionali statunitensi spesso senza gara di appalto. Le imprese irachene sono quasi del tutto escluse.
Sinora gli Usa hanno attribuito, senza gara di appalto o in licitazione privata, 22 contratti, 13 dei quali prima ancora che la guerra fosse dichiarata terminata. Molte di queste imprese sono direttamente legate ad esponenti della attuale amministrazione neoconservatrice statunitense, ad esempio la Halliburton (legata al vicepresidente Cheney) e la Bechtel (legata al sottosegretario Shultz). In ogni caso tutte le imprese Usa che hanno vinto gli appalti sono state forti sostenitrici economiche della elezione del presidente Bush.
Queste imprese hanno a loro volta subappaltato i lavori ad imprese per la maggior parte straniere.
Alla fine di novembre la amministrazione Usa ha annunciato altri 25 maxiappalti per un totale di oltre 18 miliardi di dollari. Questa volta gli appalti sono aperti anche a ditte non statunitensi, ma ci sono forti dubbi sul fatto che si tratterà di gare davvero aperte e trasparenti . E possibile che ditte italiane ottengano incarichi.
Perché è grave che la ricostruzione non sia affidata a imprese irachene?
Il fatto che gli appalti siano stati affidati essenzialmente a imprese Usa non è solo grave perché sono state violate le norme sulla gare internazionali (l'Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione di fronte allaWTO), o perché fa pensare a possibili collusioni (e corruzione) del presidente Usa con alcune multinazionali, ma per altri tre buoni motivi:
- in questo modo la ricostruzione costa di più. Infatti le imprese statunitensi hanno costi molto superiori a quelle irachene ed inoltre tutti i contratti stanno lievitando a causa dei costi della sicurezza che per gli statunitensi sono molto elevati.
- in questo modo la ricostruzione è più lenta. Infatti, a causa della mancanza di sicurezza e della non conoscenza del paese, le aziende americane non riescono ancora ad avviare nessun lavoro significativo. Nel 1991, Dopo la guerra del Golfo, gli iracheni da soli, e nonostante le sanzioni economiche, erano riusciti a ripristinare gran parte delle infrastrutture essenziali dopo pochi mesi.
- in questo modo la ricostruzione, invece di essere un fattore di ripresa dell'economia interna come succede di solito dopo le guerre, sarà un ulteriore fattore di impoverimento del paese; infatti i proventi dei lavori di ricostruzione verranno esportati all'estero.
Chi pagherà la ricostruzione?
IN CORSO DI REDAZIONE
Quale è la politica economica della CPA?
Il governatore Bremer, nonostante lesistenza di un forte dissenso persino all'interno del Consiglio Governativo iracheno, ha emesso il 19 settembre tre ordinanze (n. 37, 38 e 39) che prevedono la possibilità per i capitali esteri di acquisire il controllo del 100% delle imprese irachene (fatta eccezione per quelle del settore delle risorse naturali, ovvero quelle petrolifere), di esportare il 100% dei profitti e dei proventi della vendita di beni e servizi, la tassazione massima dei redditi da impresa pari al 15%, la detassazione di tutti i redditi derivanti dagli appalti assegnati dalla CPA o dalle amministrazioni Usa, la fissazione di un dazio massimo per due anni del 5%.
Nello stesso tempo il governatore Bremer ha annunciato la messa in vendita di 125 imprese pubbliche irachene su 200.
La politica economica della CPA è legale?
No. Le norme delle Convenzioni di Ginevra e dei Regolamenti di Le Hague sulla amministrazione dei territori occupati proibiscono di modificare la legislazione nazionale e di vendere le proprietà dello Stato che dovrebbero essere solo amministrate. In conseguenza le privatizzazioni decise da Bremer potrebbero essere annullate da un governo legittimo iracheno.
Quali saranno le conseguenze delle privatizzazioni?
Nella situazione irachena, con una economia debolissima, la privatizzazione non può che andare a favore o di imprese straniere, con un conseguente impoverimento del paese, oppure di poche famiglie la cui ricchezza dipende essenzialmente dall'essere state fortemente legate al regime di Saddam Hussein.
A quanto ammonta il debito estero iracheno?
IN CORSO DI REDAZIONE
LA SITUAZIONE POLITICA
Chi governa l'Iraq attualmente?
L'Iraq è governato dal governatore americano Bremer, che è a capo della "Coalition Provisional Authority" ("Autorità provvisoria della coalizione" - CPA), formata da 11 consiglieri statunitensi, uno italiano e uno inglese. La CPA si comporta a tutti gli effetti come un governo, emettendo leggi e regolamenti su tutti gli argomenti esistenti.
La CPA ha anche nominato un Governing Council ("Consiglio Governativo" - IGC). Questo consiglio però non ha poteri propri e tutte le sue decisioni devono essere approvate dal governatore. Anche quando lIGC non era daccordo, come è successo per la legge sulla privatizzazione, la CPA è andata avanti lo stesso.
Quali sono le posizioni delle forze politiche irachene?
Come avviene in tutti i paesi, le posizioni delle forze politiche irachene sono diversificate, anche se tutte convergono su un punto: il potere deve tornare al più presto nelle mani degli iracheni.
Alcune forze politiche, in particolare, hanno accettato di far parte del Governing Council, un organismo governativo nominato dalle potenze occupanti. Unaltra parte, raccolta in due o più coordinamenti, ha dato vita ad una azione di resistenza armata. Unaltra parte ancora, pur criticando la scelta di alcuni partiti di partecipare all'IGC e non condannando la resistenza, ritiene di agire attraverso mezzi pacifici per la liberazione del paese.
Sino a che non ci saranno elezioni non è dato conoscere la reale rappresentatività di queste formazioni politiche.
Cosa pensano gli iracheni dei militari, della resistenza e del terrorismo?
Ovviamente gli iracheni non la pensano tutti allo stesso modo, anche se su una cosa sembrano tutti d'accordo: gli eserciti stranieri se ne devono andare dall'Iraq. Subito dopo la invasione molti iracheni avevano una sospensione di giudizio sulle truppe statunitensi: in molti dicevano "stiamo a vedere se manterranno le promesse". Dopo questi mesi sono molti quelli che non stanno più "a vedere" ma vorrebbero che gli Usa se ne andassero al più presto. Alcuni però hanno timore che gli eserciti occupanti se ne vadano senza che subentri una forza dell'Onu. E' molto raro trovare persone che vorrebbero che gli americani restassero anche in un futuro così come è raro trovare persone che vorrebbero il ritorno al vecchio regime. In generale la gran parte delle persone disapprova gli atti di terrorismo (auto bomba) e di sabotaggio, che tende ad addebitare ai seguaci di Saddam o a persone venute da fuori, ed approva gli attacchi contro i militari stranieri (che solitamente definisce "resistenza patriottica").
La resistenza è legittima?
Sotto il profilo del diritto internazionale sì. Trattandosi di una situazione di occupazione militare la resistenza armata alla stessa è considerata legittima. Non lo sono invece gli atti di terrorismo.
La Convenzione di Ginevra riconosce i conflitti armati nei quali i popoli lottano contro loccupazione straniera nellesercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi (art. 1 para 4).
La stessa Convenzione peraltro vieta a tutte le forze in conflitto, quindi anche alle forze della resistenza, luso delle azioni di terrorismo e gli attacchi ai civili non combattenti.
Tutte le azioni armate della resistenza sono legittime?
No. Le azioni contro i civili, le autobomba in luoghi frequentati da civili, gli assalti alla polizia irachena e gli attentati sono crimini di guerra.
Ovviamente non siamo in grado di sapere quali di queste azioni sono effettivamente addebitabili alla resistenza irachena e non a forze esterne sostenute da altri paesi o da formazioni fondamentaliste arabe che perseguono fini politici diversi dalla autodeterminazione del popolo iracheno. In genere la gente della strada a Baghdad tende ad addebitare le autobomba a queste seconde componenti.
La resistenza potrà liberare il paese?
La liberazione del paese e la costruzione di un processo di autodeterminazione pacifico necessita di un processo politico che veda partecipi e concordi tutte, o grandissima parte, delle espressioni politiche, religiose, etniche, tribali che compongono il mosaico della società irachena.
La scelta della resistenza armata, per quanto legittima su piano del diritto internazionale, a nostro parere non potrà innescare questo processo politico, anzi, parimenti alla scelta di partecipare al Governo filostatunitense tende a dividere o ad esasperare le divisioni tra gli iracheni.
Cosa prevede il piano americano di trasferimento del potere agli iracheni?
Secondo il piano presentato da Bremer il Governing Council (che è un organismo scelto dagli Usa) dovrebbe nominare 18 assemblee provinciali di 15 membri, che a loro volta dovrebbero nominare una assemblea nazionale la quale, entro giugno 2004, dovrebbe nominare un Governo provvisorio.
Le elezioni dovrebbero poi tenersi entro la fine del 2005.
Il piano americano di trasferimento di poteri agli iracheni porterà la democrazia e la pace?
No, non porterà né democrazia e quindi né pace.
Il piano di trasferimento di poteri dalla CPA a un governo iracheno concordato tra il governatore Bremer e il presidente del IGC prevede il trasferimento di potere a un gruppo di partiti politici iracheni scelti dalla amministrazione Usa attraverso il Governing Council: non può quindi definirsi democratico.
Questo fatto rischia di innescare una guerra civile tra i partiti beneficiati del potere dagli Usa e quelli esclusi.
Nello stesso tempo, il piano non prevede il ritiro delle truppe Usa dallIraq, anzi esisterebbe un patto per il mantenimento di sei basi militari. Questo fatto alimenterà sia la resistenza che il terrorismo.
Perché non è ancora stato fatto il censimento della popolazione, base necessaria per un processo elettorale?
E' una bella domanda!! Tecnicamente in otto mesi è assolutamente possibile censire con precisione i circa 23 milioni di cittadini iracheni e formare le liste elettorali. Forse perché non si aveva davvero l'intenzione di convocare elezioni.
LA SITUAZIONE DELL'ITALIA
In cosa consiste la presenza italiana in Iraq?
L'Italia è presente in Iraq sia attraverso il Governo che attraverso la società civile.
Il Governo ha (in ordine di tempo):
- aperto un ufficio commerciale di monitoraggio degli appalti della ricostruzione presso la ambasciata italiana a Baghadad - installato un ospedale da campo tramite la Croce Rossa italiana a Baghdad con un costo di 10 milioni di euro ogni sei mesi. L'ospedale è stato soggetto a forti critiche. - inviato una missione diplomatica a partecipare alla CPA, nella quale all'Italia è stato assegnato il ministro della cultura con un costo di 10 milioni di euro. La attività della missione diplomatica presso la CPA non è stata mai resa nota. - inviato a Nassiriya 3000 soldati sotto comando britannico con un costo di 40 milioni di euro al mese
La società civile attraverso associazioni e organizzazioni non governative:
- ha realizzato interventi di emergenza nei campi della sanità, acqua potabile, educazione, fasce vulnerabili della popolazione raggiungendo quasi un milione di beneficiari per un costo di circa 5 milioni di euro - sostiene le organizzazioni per i diritti umani
Quali sono i fini dichiarati della presenza militare italiana?
Secondo il decreto approvato dal parlamento le finalità della presenza militare italiana dovrebbero essere di protezione degli interventi umanitari. La sproporzione tra le somme destinate agli aiuti (20 milioni di euro) e alla loro "protezione" (230 milioni) smentisce che questa possa essere la vera ragione.
Dopo l'attentato di Nassiriya alla caserma dei Carabinieri esponenti del governo hanno dichiarato che la presenza italiana è finalizzata alla lotta al terrorismo. Obiettivo mai prima dichiarato e non contenuto nemmeno nella risoluzione parlamentare.
Quali sono i veri fini della presenza italiana in Iraq?
Ovviamente siamo nel campo delle illazioni, ma il fatto che la prima missione in Iraq aperta subito dopo la guerra sia stata una misisone commerciale fa sospettare che questo sia il vero obiettivo: potersi sedere al tavolo dei vincitori e spartirsi la torta della ricostruzione de del petrolio iracheno.
Perché l'esercito italiano è proprio a Nassirya?
Un indizio del motivo per cui è stata scelta Nassiriya è dato dal fatto che la maggiore compagnia petrolifera italiana (ormai privata) ha forti interessi nei giacimenti petroliferi proprio a Nassirya dove lEni ha firmato un contratto [con Saddam] per lo sviluppo di risorse energetiche stimate in 2 milioni di barili al giorno.(Brescia Oggi 13/11/03)
Secondo il Sole 24ore, "all'Eni quel giacimento da 300mila barili al giorno e con riserve tra i 2 e i 2,6 miliardi di barili interessa dai tempi del regime di Saddam, ma dopo la guerra l'azienda italiana ha riaperto i negoziati con gli americani di Paul Bremer e con il ministero del Petrolio iracheno. A giugno una delegazione dell'ENI si è recata a Baghdad a bordo di un aereo militare italiano per discutere nei dettagli. "La trattativa per l'affidamento dei pozzi all'ENI non è stata conclusa, ma senza dubbio gli italiani sono in pole position" dice al "Sole 24 Ore" una fonte americana. "Noi avevamo un interesse per quella zona e lo confermiamo - ha dichiarato l'amministratore delegato Vittorio Mincato.
E' vero che ritirare l'esercito equivale ad abbandonare gli iracheni?
No. Non è vero. Anzi è vero il contrario: ritirare l'esercito, oltre a permettere il rientro dell'Italia nella legalità internazionale, dà maggiori e più efficaci opportunità di intervento:
- sul piano umanitario perché si risparmierebbero oltre quaranta milioni di euro al mese che potrebbero essere impiegati per aumentare, di molto, l'intervento umanitario con interventi diretti o sostenendo i programmi della Croce Rossa, delle Nazioni Unite e delle Organizzazioni nongovernative.
- sul piano politico perché non essendo più schierata con una parte (ed in più quella che ha occupato il paese) l'Italia potrebbe far valere i propri buoni uffici per la costruzione di un processo politico che porti alla democrazia in Iraq
- sul piano diplomatico perché il ritiro dei soldati italiani indebolirebbe politicamente ed economicamente gli Stati Uniti che potrebbero così essere ricondotti con maggior facilità ad una posizione di rientro nella legalità.
E' vero che ritirando l'esercito da Nassiriya ci sarebbe il caos e il terrorismo?
No. Non è vero. Le forze politiche locali e la polizia irachena sono perfettamente in grado di garantire l'ordine pubblico. E' vero invece che ritirando la presenza militare si toglierebbe anche motivo al terrorismo di colpire a Nassiriya.
Quali passi può dunque fare lItalia per favorire la pace in Iraq?
1. Innanzi tutto dovrebbe ritirare le truppe. Mettendosi così in una posizione di credibilità nei confronti delle parti irachene.
2. Poi dovrebbe prendere una iniziativa per sollecitare una posizione unitaria europea favorevole al passaggio all'Onu delle responsabilità della gestione della fase di transizione.
3. Dovrebbe poi offrire il proprio territorio per l'avvio di negoziati tra le forze irachene interne al Governing Council e quelle che vi si oppongono o sostengono la resistenza perché si arrivi al più presto ad una posizione unitaria irachena.
4. Dovrebbe destinare il risparmio ottenuto con il ritiro dei militari per sostenere interventi umanitari dell'Onu, della Croce Rossa e delle Ong indipendenti
5. Potrebbe offrirsi per la realizzazione in tempi rapidi del censimento della popolazione