----- Original Message ----- From: "Redazione ATTAC Italia" redazione@attac.org To: granello.di.sabbia@attac.org Sent: Monday, July 07, 2003 8:48 PM Subject: [ATTAC] INFORMAZIONE - 101 UNA CARICA ESTIVA
GRANELLO DI SABBIA (n°101) Bollettino elettronico settimanale di ATTAC Lunedì, 07-07-2003 ______________________________
Vi preghiamo di diffondere il Granello nella maniera più ampia possibile. Numero di abbonati attuali: 6 426 ATTENZIONE: tutti i Granelli di Sabbia sono a disposizione sul sito in versione .pdf e .rtf al seguente indirizzo: http://italia.attac.org/spip/rubrique.php3?id_rubrique=3 ____________________________________________________________
Indice degli argomenti
1 - Una carica estiva La Redazione Stavate per andare in vacanza senza un bel promemoria antiliberista? Ci abbiamo pensato noi con "la carica del 101", ovvero una borsa di temi e dibattiti antiliberisti che vi offre il munsero 101 del Granello di Sabbia (lungo da stampare e portarsi via). Con 3 proposte 3 che speriamo vi piacciano.
2 - La Tobin Tax riparte dal Parlamento Commissioni parlamentari riunite AFFARI ESTERI E COMUNITARI e FINANZE, Seduta di giovedì 5 giugno 2003, Preside Giorgio La Malfa, vicepresidente Alfiero Grandi. Audizione di studiosi ed esperti della materia.
3 - Cambiare per rimanere uguale a prima di Christian Chavagneux. Dopo vent'anni di insuccesso, le istituzioni di Bretton Woods giocano la carta del cambiamento. Parola d'ordine: riduzione della povertà e ritorno dello Stato. Senza grande successo. (.) Traduzione a cura di Claudia Assirelli
4 - Dalla Svizzera all'Africa: i benefici alle imprese e i rischi per lo Stato di Peter Niggli, Direttore della Comunità di lavoro La Banca mondiale ritiene che i paesi poveri siano incapaci di far funzionare o realizzare servizi pubblici degni di questo nome; a suo
avviso
ci si può fidare solo delle imprese private. Da questa posizione è
derivata
una forte pressione alla privatizzazione delle società e dei servizi pubblici. (.) Traduzione a cura di Daniela Massaio
5 - Cittadinanza di residenza per i migranti, una proposta europea contro
il
razzismo e la precarietà di Circolo migrazione e libertà Vogliamo con questa proposta attirare l'attenzione sulla questione
centrale
e troppo spesso trascurata, degli stranieri e dei migranti. Non lo
facciamo
solamente per difendere i diritti particolarmente contestati degli
stranieri
e dei migranti; noi lo facciamo soprattutto perché questi diritti s'inseriscono nell'insieme dei diritti e che la loro rimessa in causa si tradurrà in un attentato a tutti i diritti e ai diritti di tutti. (.) Traduzione a cura di Lydia Bellik
6 - Il movimento per un'altra globalizzazione ed internet: possiamo liberarci dei formati mediatici? di Dominique Cardon e Fabien Granjon La creazione di reti transnazionali di militanti reclama mezzi particolari per la coordinazione delle azioni collettive, la diffusione dell' informazione e il mantenimento di una struttura multipolare. Non è un caso che le reti di lotta alla gestione neoliberista della globalizzazione hanno sviluppato un uso precoce e decisivo di Internet.
(.)
Traduzione a cura di Francesco Verde
1 - Una carica estiva __________________________________________________________
Stavate per andare in vacanza senza un bel promemoria antiliberista? Ci abbiamo pensato noi con "la carica del 101", ovvero una borsa di temi e dibattiti antiliberisti che vi offre il munsero 101 del Granello di Sabbia (lungo da stampare e portarsi via). Attraversiamo un momento molto delicato e importante della lotta per l' alternativa al liberismo, alla guerra e al razzismo. Come accade spesso,
il
movimento dei movimenti sembra assopirsi o rintanarsi, per poi riemergere alla prossima iniziativa. A Riva del Garda il prossimo 3/5 settembre parteciperemo ad uno di questi importanti eventi, sia perché c'è la
riunione
del vertice dei ministri degli esteri europei prima della conferenza mondiale del Wto di Cancun, in cui si lancerà la famosa liberalizzazione
dei
servizi (Gats) di cui abbiamo tanto parlato, sia perché sarà il banco di prova se esiste ancora un governo liberista del mondo o se le geometrie imperiali avranno scardinato anche quello (e non sappiamo dire cosa sia peggio). Tenetevi liber* per quelle date, il programma è intenso e significativo. Per saperne di più www.riva20003.org. La fase attuale dei movimenti pone molti interrogativi sulla loro capacità di passare alla costruzione delle alternative dal basso. E' la fase della maturità, ancora giovane, senza date e senza esaminatori. Di sicuro, possiamo continuare a denunciare e contro-analizzare le migliaia di ingiustizie e di bugie economiche e finanziarie di questo mondo. E lo faremo. Ma il punto su come resistere per incidere è posto. Ci impegneremo nella risposta tutt* insieme. Al momento vi proponiamo tre riflessioni: la prima nasce
dall'autoeducazione
che propone questo Granello, abbiamo scelto alcuni temi, parziali, da portarsi "in vacanza" (per chi ci va), ovvero la continuazione della
nostra
battaglia per la Tobin Tax, la questione di come cambiano le istituzioni finanziarie internazionali (sono sempre lì), le privatizzazioni che sono
lo
specchio e il nesso per noi di questi due temi sul territorio e nella vita di tutti i giorni di milioni di cittadini, la questione di una proposta di cittadinanza di residenza che riguarda i migranti (e la sopravvivenza
stessa
del concetto di diritto di cittadinanza) e la questione dei media alternativi (legata a quella della possibilità ancora di parlare di democrazia in un contesto di concentrazione e manipolazione dei media al limite del totalitario). Con questi temi vi lanciamo altre due proposte. La prima è di prepararsi
per
autunno dove riprenderemo con più forza ed attenzione la lotta contro la finanziarizzazione e il nesso con la privatizzazione e mercificazione dei servizi e dei diritti. Riprenderemo la nostra lotta per la Tobin Tax arrivata in Parlamento che vogliamo sostenere e fare vivere oltre le mura del palazzo, insieme ai parlamentari che ci stanno aiutando, insieme agli "specialisti" e con alcune proposte incisive e provocatorie. L'occasione
del
semestre di presidenza europeo dell'Italia e la contemporanea presenza del dibattito parlamentare sulla Tobin Tax è un'occasione che NON dobbiamo perdere assolutamente. L'ultima proposta, riguarda noi tutt*, Attac e il movimento. Non abbiamo
mai
discusso veramente sul ruolo e l'identità di questo movimento, soprattutto della sua versione italiana. Crediamo sia venuto il momento di farlo noi (visto che nessuno lo fa, al di là di polemiche o dibattiti di fase sul
"che
fare"). Per questo abbiamo organizzato il 18 luglio a Genova, nell'ambito della settimana di mobilitazioni, dibattiti, eventi culturali e feste a
due
anni dal tragico G8, un confronto tra chi i movimenti li studia, li
osserva,
li scrive. Magari con una certa distanza, che è proprio quello ci serve
per
capirci meglio. Abbiamo affidato questa impresa dal titolo "Genova
2001-2003
due anni in movimento: identità, percorsi, partecipazione e interrogativi"
a
Donatella Della Porta (sociologa fiorentina che da due anni studia la partecipazione agli eventi del movimento da Genova alla manifestazione contro la guerra del15 febbraio scorso), Piero Sansonetti (opinionista del
l
'Unità, tra i più lucidi commentatori delle vicende del movimento e della sinistra), Mimmo Porcaro (filosofo della politica, che ragionerà sul rapporto tra partiti e movimento, politica e partecipazione) e Franco
Russo
(uno di noi, storico leader romano dei movimenti degli anni '70, che ci parlerà del vecchio e del nuovo di questi anni). Come vedete, non è un dibattito tra leader o tra "anime" del movimento (che comunque sarebbe utile) ma un tentativo di applicare anche su di noi l'autoeducazione . ovviamente orientata all'azione. Sperando di rincontrarvi a Genova il 18 luglio, a Riva il 3-5 settembre e poi ancora e ancora, vi auguriamo una buona estate.
La Redazione
2 - La Tobin Tax riparte dal Parlamento __________________________________________________________
Commissioni parlamentari riunite AFFARI ESTERI E COMUNITARI e FINANZE Seduta di giovedì 5 giugno 2003, Preside Giorgio La Malfa, vicepresidente Alfiero Grandi Audizione di studiosi ed esperti della materia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine
conoscitiva
sui temi relativi all'imposizione sulle transizioni valutarie l'audizione
di
studiosi ed esperti della materia. Le Commissioni riunite III e VI hanno iniziato l'esame congiunto delle proposte di legge a firma di vari parlamentari, di maggioranza ed opposizione, relative alla possibilità e
al
modo di introdurre la Tobin tax. Nell'avviare l'esame dell'insieme dei progetti di legge, si è stabilito di condurre un'indagine conoscitiva, ascoltando rappresentanti istituzionali, come il ministro dell'economia e
la
Banca d'Italia, e studiosi che si siano occupati di questa materia. A nome delle Commissioni do il benvenuto ai professori Riccardo Bellofiore, Emiliano Brancaccio, Domenico Da Empoli, Franco Osculati e Felice Pizzuti, che ringraziamo. [..]
EMILIANO BRANCACCIO, Professore di macroeconomia a contratto
presso
l'Università del Sannio. Vorrei provare a sgomberare il campo da
un
equivoco che mi sembra affiori, talvolta, all'interno del
dibattito
politico e, mi permetto di affermare, anche nelle relazioni di
questa
Commissione. Si tratta di un equivoco che rischia di essere, in
qualche
misura, fuorviante ai fini della comprensione del significato di
questa
assa. Nella mia esposizione, inizierei ricordando che James Tobin,
colui
che l'ha ideata, aveva uno scopo fondamentale, quello di aumentare
i
margini di manovra sui tassi di interesse da parte delle autorità
monetarie
liberandole, almeno in parte, dalla continua minaccia proveniente
dai
movimenti di capitale ad opera degli operatori privati. Il meccanismo,essenzialmente, funziona in due modi: la Tobin tax creerebbe un cuneo nelle parità internazionali dei tassi di interesse che dovrebbe disincentivare gli arbitraggisti a «fuggire» non appena la banca centrale riduca i tassi di interesse; inoltre, poiché queste tassa costituisce, in generale, un disincentivo a «fuggire», a spostarsi da una valuta dall'altra, dovrebbe ridurre, in qualche misura, l'attività speculativa, ridurre la volatilità di cambi e, con essa, anche la probabilità che gli speculatori giochino a scommettere contro la banca centrale costringendola, il più delle volte, ad aumentare i tassi di interesse per evitare di perdere la partita. In sostanza, noi siamo di fronte ad uno strumento ingegnoso di
politica
monetaria, della cui efficacia o della cui sufficienza si può
ampiamente
discutere (ed effettivamente in ambito accademico se ne discute da tempo),che cerca di affrontare un problema molto ben definito e molto attuale,quello della sovranità politica sulla moneta e sui tassi di interesse. Si tratta di un problema fondamentale nei paesi meno sviluppati, come il professor Bellofiore ha chiarito esaurientemente, ma che in una certa misura riguarda anche la Banca centrale europea. Vorrei citare, a tale proposito, alcuni articoli di Modigliani e La
Malfa
sull'argomento. PRESIDENTE. Di qualche decennio fa! EMILIANO BRANCACCIO, Non in termini cronologici, forse, più in termini politici. In questi articoli di qualche anno fa (Corriere della sera, 1998), gli autori chiamavano in causa la linea della politica monetaria della Banca centrale considerandola, tra l'altro, oltremodo restrittiva. Questo
problema
si presenta oggi molto frequentemente. Noi sappiamo che tra le variabili argomento della funzione dei tassi di interesse della Banca centrale
europea
ci sono i tassi correnti attesi di cambio e i tassi di interesse esteri correnti e attesi, in particolare della Federal reserve,ma non soltanto di essa. Poiché la Tobin tax, se sufficientemente elevata,dovrebbe ridimensionare l'incidenza di queste variabili sui tassi di interesse interni, all'interno del dibattito accademico si ritiene che possa
favorire,
proprio per questo, un ampliamento dei margini di manovra sui tassi e, quindi, un ampliamento delle possibilità, per la Banca centrale, se lo desidera (questo è da verificare, naturalmente!), di agire sui tassi in senso espansivo. Vorrei soffermarmi su un chiarimento a mio avviso importante. Noi stiamo discutendo di una letteratura che, dal punto di vista teorico, ha una concezione convenzionalista del tasso di interesse, una concezione secondo la quale esistono ampi margini di manovra politica sui tassi di interesse,dal momento che si tratta di una variabile fortemente
orientabile
sul piano politico, sul piano delle convenzioni e sul piano della
psicologia
dominante degli operatori. Questo è un punto importante e non so quale sia la posizione, in merito, dei professori qui presenti. Chi sostiene la
Tobin
tax, insomma, si pone in genere in chiave antagonistica rispetto a chi fa riferimento alla letteratura che prende spunto dalla analisi di equilibrio intertemporale o al real business cycle, cioè ad un'idea dei tassi di interesse dominati da preferenze, tecnologia e dotazioni, un'idea molto stringente secondo la quale la politica può poco o nulla sui tassi.
Anchein
questa sede è importante precisare questo perché, ad esempio,
KennethRogoff,
capo economista del Fondo monetario internazionale, sostiene l'idea che la politica nulla possa sui tassi e, anzi, è meglio che non intervenga perché causa danni. Noi invece abbiamo un'idea diversa e ci ricolleghiamo ad una letteratura che si colloca su una posizione decisamente antitetica
rispetto
a questa. E' utile che i responsabili della politica lo sappiamo,in quanto spetta a loro assumere le decisioni. L'ampliamento dei margini di manovra sui tassi di interesse costituisce
un
argomento che, in molte circostanze, è stato trascurato, per non
dire
cassato, all'interno del dibattito politico. Invece, si è assegnata
la
priorità ad un altro obiettivo, quello del gettito fiscale, considerato
da
Tobin nulla più che un lieto effetto collaterale della tassa. Lieto sì,
ma
comunque collaterale. Il dibattito accademico si muove
sostanzialmente -
anche se esiste qualche eccezione - sulla stessa linea di Tobin. Questo
è
un punto importante. Oltretutto, come vedremo in seguito, tra
l'obiettivo
della conquista di autonomia monetaria e quello del gettito può
sussistere,
addirittura, un trade-off, ossia un conflitto di cui è necessario
tener
presente in sede politica. In questi anni ho seguito sia il dibattito politico-istituzionale
sulla
Tobin tax che quello del movimento di Porto Alegre e di Seattle.
Del
movimento, in particolare, ho tratto un'esperienza diretta. Infatti,
sono
firmatario di una legge di iniziativa popolare per l'istituzione dell
Tobin
tax sostenuta dall'associazione ATTAC. Una legge depositata lo
scorso
luglio in Parlamento, per la quale sono state raccolte quasi
duecentomila
firme. Ora, nel partecipare a questi dibattiti ho sempre cercato
di
compiere uno sforzo continuo per orientare la discussione sulla
questione
della autonomia e della sovranità monetaria piuttosto che sulla
questione
del gettito. E vi assicuro, non è cosa semplice. Come esempio evidente di ciò, cito un noto tentativo di
contrapposizione,
avanzato recentemente, tra la Tobin tax e la cosiddetta de-tax. Penso
che
si tratti di una tipica dimostrazione dell'equivoco che nasce intorno
alla
Tobin tax, dal momento che sulla de-tax si possono avere
opinioni
estremamente diverse (personalmente ne ho un'opinione negativa), ma
la
questione fondamentale è che essa non si occupa di nessuno dei problemi
di
cui si discute in ambito accademico in merito alla Tobin tax. Non
vale,
quindi, la pena portare avanti tale contrapposizione e non so per
quale
ragione essa sia stata avanzata. Ritornando alla Tobin tax, sono fautore di un uso della tassa sulla
base
dell'obiettivo originario, la conquista di margini di manovra, cioè
della
sovranità monetaria, sui tassi di interesse. Per questo motivo mi
accodo
alla letteratura che promuove una tassa relativamente elevata, nonché
a
quella che ritiene che essa sia senz'altro uno strumento che va
nella
giusta direzione, ma che possa anche rivelarsi non sufficiente per i
fini
che intende perseguire. Io sostengo un'aliquota relativamente elevata perché questo è il
modo
giusto per acquisire autonomia monetaria. Per chiarirlo farò alcune
ipotesi
sulle elasticità di comportamento degli operatori. Prima però
vorrei
chiarire un aspetto: la nostra analisi è puramente congetturale, poiché
non
abbiamo sufficiente esperienza. Si tratta di un punto importante.
Per
ragionare sulla tassa sarà necessario interagire tra esperti e politici:
la
normazione dovrà essere dinamica, in funzione di quelle che saranno
le
reazioni del mercato finanziario alla tassa, perché si tratterà
di
procedere per tentativi ed errori (se si deciderà di procedere su
questa
direzione). Dal punto di vista della verifica empirica, dunque,
non
possiamo dire molto. Ciò nonostante, ciò che è quasi certo
nella
letteratura sulle ipotesi di comportamento, ossia sulla elasticità
di
comportamento degli operatori, è che quanto maggiore è l'aliquota
della
tassazione, tanto minore, dopo un certo livello, è il gettito e
tanto
maggiori sono i cunei tra i tassi di interesse interni ed i
tassi
internazionali. In sostanza esiste un trade off: se vogliamo gettito la tassa deve
essere
bassa, ma se vogliamo sovranità monetaria la tassa deve essere
piuttosto
alta e, secondo me, questa seconda opzione è molto più interessante
della
prima. In linea di principio, possiamo esonerare dal pagamento dell'imposta una serie di transazioni commerciali. Si può fare.
Tuttavia,
per la sua struttura e per come fu ideata da Tobin, la tassa mira
proprio
ad incidere prioritariamente su chi effettui un volume elevatissimo
di
transazioni. Quindi, sempre in linea di principio, non occorre
esonerare
determinate transazioni. Questa imposta è infatti stata ideata proprio
al
fine di evitare la necessità di distinguere tra transazioni speculative
e
non speculative. Chi conosca il dibattito accademico sa che l'esonero
di
alcuni tipi di soggetti è questione marginale e subordinata. Per ogni
data
transazione vi sarà un determinato obbligo di pagamento, il che
significa
che la tassa colpirà proprio chi effettua più transazioni, vale a dire
gli
speculatori. Del resto, tutti coloro che effettuano transazioni
per
cautelarsi contro il rischio lo fanno in subordine
all'attività
speculativa. Vorrei aggiungere una cosa sulle possibilità di azione del politico. Siamo d'accordo, professor Da Empoli, sul fatto che stiamo parlando di equilibri di second-best ? (Second best è una espressione tecnica per intendere equilibri non ottimali, equilibri inefficienti). [Il prof. Da Empoli annuisce] Ebbene, se è vero quanto affermato da lei - e siamo tutti d'accordo su questo - ciò significa che i parlamentari hanno ampi margini manovra, cioè possono fare, possono agire. Stiamo infatti parlando di una scelta
tra
tanti, infiniti equilibri non ottimali. Quindi, signori deputati,
potete
agire. Non credete a chi afferma che ad esempio non si può intervenire
sui
movimenti di capitale perché se voi intervenite fate solo male, nel
senso
che generate risultati inefficienti. Voi potete agire sia male che
bene,
dipende da voi. Quel che è certo è che potete agire.
3 - Cambiare per rimanere uguale a prima __________________________________________________________
di Christian Chavagneux.
Dopo vent'anni di insuccesso, le istituzioni di Bretton Woods giocano la carta del cambiamento. Parola d'ordine: riduzione della povertà e ritorno dello Stato. Senza grande successo. C'è aria di rinnovamento nelle politiche adottate verso i paesi del Sud
dal
Fondo monetario internazionale (FMI) e dalla Banca mondiale. A partire
dalla
fine degli anni '70, le due istituzioni imponevano programmi ispirati all'ortodossia economica liberista a quei paesi che avevano bisogno del
loro
appoggio per pareggiare i conti pubblici o finanziare la crescita
economica.
Indicate con il nome di "consenso di Washington", questi programmi mostravano la "one best way" che avrebbe dovuto automaticamente condurre allo sviluppo. Non è stato affatto così. Inoltre, dalla fine degli anni
'80,
l'FMI e la Banca mondiale sono stati oggetto di aspre critiche. Le ONG,
del
Nord e del Sud, hanno denunciato le conseguenze sociali degli obblighi imposti ai paesi in via di sviluppo. Nella fattispecie le restrizioni di bilancio di cui hanno risentito soprattutto i settori dell'istruzione e della sanità. Le ONG sottolineavano inoltre che questi "programmi di adeguamento" avevano come fine primario quello di permettere di ripagare i debiti e nel contempo di aprire i mercati ai prodotti e agli investimenti dei paesi ricchi. Ma le critiche più pericolose arrivarono dai loro
maggiori
azionisti, i paesi del Nord. In un periodo di difficoltà economiche,
questi
ultimi erano alla ricerca di giustificazioni per ridurre l'entità dei loro aiuti. E seppur condividendo gli orientamenti economici del Fondo e della Banca ne denunciavano la mancanza di efficacia. In realtà, i programmi
erano
spesso disattesi, i requisiti richiesti raramente rispettati e le classi dirigenti riuscivano a sottrarre gli aiuti a loro vantaggio personale o
per
alimentare i conflitti interni (1). Bisognava assolutamente reagire. Le due istituzioni l'hanno fatto innanzitutto sul piano intellettuale pubblicando studi sull' "economia politica degli aiuti". L'approccio esclusivamente economico era giuntoal capolinea: ora si procedeva a una riabilitazione del ruolo dello Stato per mettere in atto le riforme necessarie allo sviluppo. Totalmente incentrata su questo tema, la relazione del 1997 della Banca mondiale (L'Etat dans un monde en mutation, Lo Stato in un mondo che cambia, ndt.) fece epoca.
Alla
fine degli anni '90 vengono adottati nuovi orientamenti. Per prima cosa
si
dà priorità alla lotta contro la povertà. Il tema è portante: cosa può essere più legittimato presso l'opinione pubblica e chi decide gli stanziamenti per gli aiuti? Gli investitori hanno percepito la portata pubblicitaria del loro nuovo impegno, senza tralasciare, però, di infiocchettarlo con argomentazioni di tipo intellettuale (riferimento semantico all'economista di origine indiana Amartya Sen), strategico (la povertà destabilizza i governi e accresce i rischi di conflitti) o anche umanitario. Eppure faremmo male a vederci solo uno slogan. Nel concreto, i governi dei paesi del Sud sono invitati a definire, in accordo con la società civile nazionale, una strategia a medio termine di lotta alla povertà. Il risultato è la comparsa, sulla scena delle sovvenzioni, di nuovi attori politici (e non più solamente gli Stati) e la loro partecipazione costante alla definizione, all'attuazione, al
controllo
e alla valutazione dei programmi. Questo obiettivo passa per l'attuazione della seconda grande direttrice:
l'
"appropriazione" (ownership) delle riforme da parte degli attori locali
che
obbliga i governi a scendere a compromessi con le forze politiche e
sociali
nazionali. Costringe le agenzie per gli aiuti a emettere un giudizio politico su questi compromessi e a confrontarsi con un ampio numero di attori. Per favorire ancora di più quest'appropriazione, l'FMI si è
lanciato
in un esemplare esercizio di autocritica. L'istituzione riconosce che la moltiplicazione delle condizioni - privatizzazioni, riforme dei settori finanziari - non serviva a gran ché, nella misura in cui queste ultime non contribuivano a un concreto aumento dell'efficacia delle organizzazioni pubbliche e private oggetto delle riforme (2). Infine, la riduzione del debito dei paesi più poveri fortemente indebitati (HIPC) costituisce la quarta direttrice. Dalla fine del 1996 consente a questi paesi di beneficiare di uno sgravio del loro debito estero, a condizione che i fondi liberati siano destinati a finanziare i programmi
di
lotta alla povertà. Teoricamente, questi orientamenti dovrebbero incentivare un utilizzo decisamente più efficace degli aiuti per lo sviluppo. Le agenzie per gli aiuti dovrebbero, ormai, prendere in considerazione i contesti politici locali, contribuire a identificare le reali necessità delle popolazioni povere, incentivare i governi e le popolazioni ad adottare le riforme, spronare la società civile a esprimersi e operare a termine per una
maggiore
responsabilità democratica degli Stati. Qual è il bilancio di questa svolta? Questo cambiamento interessa poco la filosofia economica che sta alla base degli interventi delle due istituzioni. Di fronte a una crisi finanziaria, gli interventi dell'FMI continuano ad ispirarsi al pensiero economico liberista, più o meno stemperato dalla capacità di disturbo del paese in difficoltà. Perciò si
è
più intransigenti con l'Argentina, la quale non costituisce una forte minaccia per le banche americane (si veda apag.40) e più tolleranti con
la
Russia, potenza nucleare, o con la Turchia,ubicata in posizione
strategica
o ancora con il Brasile, la cui bancarotta metterebbe a repentaglio gli interessi delle multinazionali americane. Lo stesso vale per i paesi più poveri. Il Fondo monetario ha fatto qualche sforzo per ridurre il numero delle sue condizioni strutturali in Mozambico o in Albania, ma non in
Kenya
o in Ghana. In particolar modo conserva quelle legate ai suoi programmi
di
adeguamento macroeconomico le cui conseguenze sulle condizioni di povertà continuano ad essere ignorate. La Banca mondiale conserva, dal canto suo, un alto numero di condizioni strutturali. Se a queste si aggiungono
quelle
collegate allo sgravio del debito e ai prestiti bilaterali dei paesi del Nord, nella scelta delle proprie politiche i paesi del Sud hanno un
margine
di manovra ancora più esiguo di quanto avessero prima. Il consenso di Washington rimane né più né meno uguale a prima e le nuove politiche continuano a perseguire i vecchi obiettivi. In Honduras e in Nicaragua, per esempio, la privatizzazione dei servizi di erogazione dell' acqua è stata inserita nel Programma per la Riduzione della Povertà,
mentre
le ONG, così come i parlamentari, si erano dichiarati contrari. Tanto di sprecato per l'appropriazione delle riforme. In aggiunta, per ottenere velocemente una riduzione del debito, i governi tendono a raffazzonare dei programmi di lotta alla povertà e ciò a discapito del processo di partecipazione della società civile; copiano i programmi elaborati dai
paesi
già selezionati nella convinzione di trovare in quei piani ciò di cui soddisfare le istituzioni di Bretton Woods, dando vita a strategie
uniformi.
In questo senso, rimane intatta la capacità dei governi di compiacere i creditori, al fine di recuperare il più in fretta possibile i propri
aiuti.
In realtà, i creditori chiedono troppo agli Stati del Sud le cui amministrazioni sono spesso inadeguate per gestire programmi complessi e costosi e di cui sono, ormai, responsabili, senza contare che sono state
in
parte distrutte dalle precedenti politiche di adeguamento strutturale. Definire, attuare e valutare politiche per la sanità e l'istruzione
richiede
mezzi di cui la maggior parte dei paesi del Sud è sprovvista. Un paese
come
il Camerun vede accumularsi mese dopo mese nuove entrate collegate allo sgravio del debito estero di cui è beneficiario. senza essere in grado di utilizzarle. Nel marzo 2002, il governo aveva impegnato solo un terzo degli
investimenti
previsti il cui finanziamento doveva essere garantito dalle risorse dell' iniziativa HIPC. In mancanza di una capacità sufficiente di utilizzo
degli
aiuti, dicono gli esperti dell'Agenzia francese per lo sviluppo, il paese
si
ritrova con una crescita del PIL ridotta di un punto. Inoltre, i
programmi
di lotta alla povertà sono di competenza dei ministeri delle Finanze - interlocutori del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale -
i
quali godono, sì, di autorità politica ma peccano di incompetenza nei settori sociali. La loro opacità tecnocratica non favorisce nemmeno la partecipazione
della
società civile che manca anche di mezzi tecnici, competenze e perfino di legittimità. E di frequente le ONG godono unicamente dello spazio
accordato
loro dal governo e delle risorse esterne apportate dagli investitori
ognuno
dei quali dispone così della "propria" società civile, come spiega Marc Raffinot nel caso del Mali (3). Le istituzioni di Bretton Woods si sono buttate in una rivoluzione del
loro
modo di impostare gli aiuti di cui non sanno controllare l'esito: si
muovono
su un terreno politico che né i loro economisti né i loro ingegneri conoscono a fondo. Incerti, alcuni di loro ci andranno sicuramente coi
piedi
di piombo. Eppure, come sottolinea Jean Pierre Cling (4) "mai fino ad
oggi,
le condizioni formali per l'elaborazione di politiche pubbliche,sostenute da aiuti internazionali e orientate alla riduzione della povertà e allo sviluppo sono state tanto favorevoli". Sfortunatamente l'FMI e la Banca mondiale non hanno ancora realmente valutato la portata dei problemi sollevati dai nuovi orientamenti.
Note (1) Si veda l'autorevole e sempre attuale classico, L'Etat en Afrique, Fayard, 1989 (Lo Stato in Africa, ndt) di Jean-François Bayart. (2) Il numero di "condizioni" richieste per potere accedere agli aiuti dell'FMI sono passate da una media due per programma nel 1987, a un
massimo
di diciassette nel 1997, prima di scendere a una media di tredici nel
1999,
e comunque un numero decisamente maggiore rispetto a dieci anni fa. (3) L'Economie Politique n 16, 4° trim. 2002. (4) Les Nouvelles Stratégies de lutte contre la pauvreté. (Le nuove strategie di lotta alla povertà)
Fonte: www.alternatives-internationales.fr
Traduzione a cura di Claudia Assirelli
4 - Dalla Svizzera all'Africa: i benefici alle imprese e i rischi per lo Stato __________________________________________________________
di Peter Niggli (Direttore della Comunità di lavoro)
La Banca mondiale ritiene che i paesi poveri siano incapaci di far funzionare o realizzare servizi pubblici degni di questo nome; a suo
avviso
ci si può fidare solo delle imprese private. Da questa posizione è
derivata
una forte pressione alla privatizzazione delle società e dei servizi pubblici che è ormai diventata la politica promossa dal Segretariato all' economia (Seco) svizzero con i fondi degli aiuti allo sviluppo.
Il Segretariato giustifica l'esigenza delle privatizzazioni nei paesi in
via
di sviluppo con la mancanza di capitali, vecchia argomentazione a servizio delle più varie strategie di aiuto. Una carenza grave di infrastrutture, sostiene il Seco, frena lo sviluppo economico dei paesi poveri. Dato che questi ultimi non hanno i mezzi finanziari sufficienti per porvi rimedio occorre mobilitare fondi privati. Conclusione: i "partenariati pubblico-privati" (PPP) rappresentano la soluzione migliore per lo
sviluppo
delle infrastrutture. A prima vista la realtà sembra parlare a favore dei PPP. Abbondano gli aneddoti sui servizi pubblici delle megalopoli del Sud inutilizzabili, trascurati e inaccessibili alle popolazioni sfavorite e nessuno contesta
che
i governi dei paesi poveri non dispongono di fondi. A ben guardare si può tuttavia verificare che i fattori gravanti sulle infrastrutture pubbliche dei paesi in via di sviluppo non risparmiano i PPP. Prendiamo ad esempio l'argomentazione della "carenza di capitali". Il Seco ritiene che i PPP permettano di accrescere le risorse disponibili per le infrastrutture, poiché all'impegno dello Stato si sommerebbero i capitali privati. Inoltre, secondo la Banca mondiale, i PPP consentirebbero uno spostamento del rischio, dai contribuenti dei paesi poveri alle ricche imprese private.
Teoria e realtà Dall'analisi dei progetti esistenti emerge un'altra realtà: i paesi in via di sviluppo e, sempre più, i paesi e le istituzioni donatori pagano anch' essi, a diverso titolo, gli investimenti privati. Inoltre i "partner" privati si assicurano contro i rischi facendo ricorso, per la quasi totalità, a fondi pubblici. Lo dimostra il breve excursus seguente sulle prassi più consuete. Numerosi PPP nel settore dell'approvvigionamento idrico e di energia elettrica garantiscono alle imprese (generalmente straniere) un fatturato minimo in dollari. Il partner privato impone quindi allo Stato non
soltanto
il rischio commerciale ma, soprattutto, il rischio di cambio nella sua totalità. Queste sono esattamente le condizioni preferenziali che Enron,
ad
esempio, aveva ottenuto in India prima che i suoi dirigenti fossero incriminati. Lo Stato indiano del Maharashtra ha dovuto compensare il disavanzo poiché la produzione di energia elettrica aveva superato la domanda effettiva. In altri casi come quello di EMOS, società delle acque
di
Santiago del Cile controllata dal Gruppo francese Suez dal 1999, le
imprese
esigono la garanzia di un margine di profitto.
Aumento dei prezzi Sempre in questa prospettiva della garanzia dai rischi commerciali, si rileva che, nella maggior parte dei casi, soltanto le imprese pubbliche
che
hanno già prodotto benefici per lo Stato trovano un "partner privato".
Così
nel 1995 la Banca mondiale ha constatato che le società già privatizzate
in
Africa non avevano gravato sulle finanze pubbliche, al contrario; ma ciò
non
le impedisce di giustificare le privatizzazioni con la necessità di alleviare al fisco il peso delle imprese pubbliche non redditizie. Di
fatto
numerosi governi costretti dalla Banca mondiale a privatizzare sono obbligati ad accollarsi per anni imprese pubbliche deficitarie, mentre quelle redditizie si sono da tempo defilate. Si verifica di frequente che candidati alla privatizzazione, in attesa, si ritrovino in un impasse economico proprio perché non interessano più a nessuno all'interno del governo. Quando un'impresa di infrastrutture privata decide l'aumento dei
prezzi -il
che succede spesso- essa si scontra con una reazione violenta della popolazione interessata. E' per questo motivo che la Banca mondiale è oggi disposta ad accettare, in alcuni casi, la sovvenzione di prodotti
sensibili
per gli strati di popolazione più bisognosi. La riduzione dei prezzi resta tuttavia a carico dello Stato: non si potrebbe certo addossarla alle
imprese
private! Il Seco prevede di confinanziare in futuro dette sovvenzioni per
un
"periodo transitorio" . L'espressione lascia supporre una durata limitata; in realtà il "transitorio" potrebbe durare molto tempo. Il reddito pro-capite in Africa stagna dal 1982 e quello degli strati sfavoriti è addirittura diminuito. Ciò significa forse che il Seco avrebbe dovuto sovvenzionare per un periodo "transitorio" di 20 anni il prezzo dell'acqua per i poveri -ad esempio ad Accra, capitale del Ghana- al fine di evitare problemi politici a una società americana? Anche per rendere "privatizzabile" un'impresa statale sono necessari capitali pubblici. E' per questo che, a spese dello Stato, si risanano e
si
riportano a galla infrastrutture esistenti prima che il "partner" privato sottoscriva l'affare. Anche in questo caso il Seco prevede di finanziare, con i fondi dello sviluppo, la dotazione di infrastrutture statali che i partner privati non mancheranno di reclamare.
Garanzia dai rischi Malgrado tutte le misure volte a ridurre i rischi, ne resta uno che le imprese private non sembrano disposte a correre. Esso sarà pertanto ancora una volta a carico delle amministrazioni pubbliche. Il Seco (e la Banca mondiale) prevede forme di garanzia diverse, segnatamente contro i rischi legati agli investimenti. E se ciò non bastasse si potrebbe ricorrere a fondi multilaterali, forniti totalmente o in parte da istituzioni finanziarie pubbliche che parteciperanno ai PPP, ad esempio l'African Infrastructure Fund o l'Infrastructure Development Finance Corporation (India), e che il Seco vuole cofinanziare. Quest'ultimo spera, grazie a
tali
fondi, di partecipare a "progetti modello" che offrano "una sicurezza supplementare agli investitori privati partecipanti". Tutto ciò dimostra chiaramente che l'obiettivo dei PPP è quello di
attirare,
con i mezzi finanziari pubblici messi a disposizione, gli investitori privati nei paesi e settori in cui, in prima persona e a loro rischio,
non
investirebbero un soldo. Il Seco deplora a tale riguardo lo scarso
interesse
mostrato sinora dalle imprese svizzere verso questi PPP nei paesi in via
di
sviluppo.
Regolamentazione necessaria E' pertanto più che legittimo chiedersi perché le rilevanti risorse pubbliche dello Stato "favorito" (spesso questo termine corrisponde in realtà a nuovi debiti contratti con la Banca mondiale) e l'aiuto allo sviluppo - che si cela dietro i PPP - non siano direttamente destinati al risanamento, alla riforma e allo sviluppo del settore pubblico dei paesi
in
questione, evitando in tal modo di ricorrere alle imprese private. Il messaggio sul credito quadro dimostra che il Seco è del tutto
consapevole
di alcuni di questi problemi. Esso raccomanda così, parallelamente ai PPP, di rafforzare le capacità di regolamentazione dello Stato. La Banca
mondiale
sottolinea altresì l'importanza dei nuovi compiti spettanti agli Stati,
già
deboli, nella regolamentazione delle imprese di infrastrutture private. Infatti per i campioni della privatizzazione soltanto un'istanza
regolatrice
forte può garantire che gli esercenti privati di monopoli naturali
agiscano
nell'interesse pubblico. Nei paesi occidentali autorità regolatrici
"forti"
hanno, ad esempio, il potere di rilasciare e ritirare le licenze commerciali, definire a livelli diversi le condizioni di concorrenza, i prezzi e le prestazioni di base degli operatori di infrastrutture privati. Questi inni alla necessità di un'istanza regolatrice forte sono tuttavia
in
contraddizione con il parere della Banca mondiale, la quale ritiene che i servizi pubblici dei paesi in via di sviluppo siano validi solo se privatizzati, poiché i governi sono incapaci di gestire imprese pubbliche delle acque e dell'energia elettrica. Tuttavia, se questo è il caso, mal
si
comprende come gli stessi governi sarebbero in grado di gestire multinazionali come Enron o Vivendi. In altri termini, nei paesi in via di sviluppo, risanare e sviluppare infrastrutture pubbliche problematiche è difficile quanto costituire istanze di controllo capaci di garantire che
la
gestione privata dei monopoli naturali si realizzi davvero nell'interesse generale.
Rapporto di forze diseguale Per quanto riguarda l'organismo regolatore non bisogna dimenticare che se
i
paesi in via di sviluppo sono per così dire carenti di competenze essi
sono
anche sprovvisti di potere. Il rapporto di forze tra il Lesotho, il
Malawi
o la Bolivia e un grande gruppo internazionale è talmente diseguale che neppure un'autorità regolatrice investita di tutta la legittimità
possibile
potrà fare granché. Il Ghana, ad esempio, malgrado tutti i suoi sforzi ha trovato un solo
gruppo
disposto a gestire a livello privato la rete di telecomunicazioni. La sanzione più forte a cui potrebbe ricorrere, il ritiro della concessione, diventa pertanto in questo caso una minaccia improbabile e inapplicabile. Quando la scelta è tra la società telefonica X e nessun altro si può riflettere a lungo sulla durezza delle misure da prendere in qualità di regolatore. Infine la cooperazione svizzera allo sviluppo deve chiedersi se, in
futuro,
vuole imporre "lo sviluppo" contro la volontà dei beneficiari diretti. In questi ultimi due o tre anni il numero di scioperi generali, disordini e altre manifestazioni di protesta popolare contro l'operato dei
"partenariati
punblico-privati" è costantemente aumentato. Solo nel 2002 si sono verificati almeno 12 incidenti. Il Parlamento deve dunque domandarsi come giustificherà alla popolazione svizzera, la quale nelle consultazioni popolari si è espressa contro le privatizzazioni, la concessione degli
aiuti
alle privatizzazioni. Tale approccio è peraltro del tutto in
contraddizione
con il modo in cui la Confederazione e le iniziative di aiuto reciproco hanno sinora concepito e strutturato la cooperazione allo sviluppo.
Traduzione a cura di Daniela Massaio
5 - Cittadinanza di residenza per i migranti, una proposta europea contro
il
razzismo e la precarietà __________________________________________________________
di Circolo migrazione e libertà
Vogliamo con questa proposta attirare l'attenzione sulla questione
centrale
e troppo spesso trascurata, degli stranieri e dei migranti. Non lo
facciamo
solamente per difendere i diritti particolarmente contestati degli
stranieri
e dei migranti; noi lo facciamo soprattutto perché questi diritti s'inseriscono nell'insieme dei diritti e che la loro rimessa in causa si tradurrà in un attentato a tutti i diritti e ai diritti di tutti. Lo facciamo anche perché il movimento sociale e cittadino deve dimostrare la propria capacità ad assumere un ruolo storico, a farsi carico della
società
in tutte le sue dimensioni, compresa la sua dimensione mondiale. La scala europea è una scala pertinente per porre questa domanda. E' già, per i paesi europei, quella della definizione delle politiche pubbliche in materia d'immigrazione, quella della concertazione e della preminenza di
uno
spazio giudiziario europeo. Nella situazione attuale, i governi si confortano gli uni con gli altri per accentuare un approccio regressivo e repressivo dei diritti degli stranieri e dei migranti. Eppure, la
dimensione
europea offre delle possibilità. La diversità culturale è una delle condizioni dell'identità europea; le migrazioni e la conquista dei diritti dei migranti fanno parte della storia d'Europa e della sua identità. Il movimento sociale e cittadino europeo che si costruisce, a partire dai movimenti locali e nazionali, deve appropriarsi di questa questione, impossessarsene in maniera positiva e offensiva. Questo primo contributo è più direttamente marcato dalle realtà della società francese; è da questa situazione che partiamo. Diamo questo contributo perché, l'anno prossimo, dal Forum Sociale Europeo di Firenze a quello di Parigi e Saint-Denis, a partire delle differenti situazioni e proposte, si possa costruire insieme una posizione comune sulla questione dei diritti dei migranti e dei residenti stranieri nella prospettiva dell'uguaglianza dei diritti di tutti, della loro garanzia e del loro approfondimento. I trattamenti disastrosi della questione degli stranieri e dei migranti spiega, in parte, il fallimento della sinistra. Ci troviamo in un periodo contraddittorio. Un periodo marcato dall'aumento del populismo e dei riferimenti dell'estrema destra, ma anche un periodo
di
rafforzamento del movimento sociale e cittadino. Questa contraddizione non
è
solamente europea, ma anche mondiale. Per caratterizzarla, vogliamo citare questa proposta di Gramsci che affermava, tra le due guerre mondiali, in
un
periodo analogo: "il vecchio mondo muore, il nuovo mondo tarda ad
apparire,
ed in questo chiaro oscuro, sorgono i mostri". In questi periodi, la situazione delle classi sociali più esposte è significativa della natura profonda delle società nelle quali viviamo. I migranti occupano oggi, nell'immaginario della società mondializzate, il posto delle "classi laboriose, classi pericolose", riservate, qualche decennio fa, al proletariato. Su questa questione si oppongono in modo radicale, da una parte, quelli che pensano che il progresso sociale e democratico implichi
la
protezione contro lo straniero e, dall'altra parte, coloro i quali
ritengono
che un progresso sociale e democratico costruito sull'esclusione abbia
poche
possibilità di durare. Pensiamo che il fallimento della sinistra sia legato al modo disastroso
con
cui hanno affrontato la questione degli stranieri e dell'immigrazione. La situazione è stata, da questo punto di vista, molto simile nell'insieme
dei
paesi europei governati da alleanze dirette da partiti socio-democratici.
In
Francia, vi sono certo diverse ragioni combinate che spiegano la perdita
di
credibilità del progetto della sinistra plurale e il divorzio con l'elettorato popolare. La rigidità nei confronti dei "sans-papier" è
stata,
per alcuni, una rottura morale. La difficoltà nel comprendere l'esasperazione degli esclusi ed assicurare loro un uguale accesso ai diritti ha approfondito tale rottura. La deriva delle misure sociali le
più
promettenti verso le classi medie ha sconcertato larghi settori delle
classi
popolari. L'incapacità di sottrarsi alle promesse esagerate fatte in
periodo
elettorale di fronte ad un aumento delle i rischi di deriva nazionaliste e in merito alla pubblica sicurezza, ha sconcertato larghi settori della popolazione, e in particolare della gioventù. I diritti dei migranti e
degli
stranieri sono doppiamente rimessi in causa, dalle ineguaglianze sociali e dalle discriminazioni, e dal dominio del Sud da parte del Nord; ciò mette
in
pericolo l'insieme dei diritti. Una società solidale implica la lotta contro tutte le discriminazioni; in particolare il razzismo, la xenofobia e tutte quelle che appartengono allo stesso genere. L'insicurezza è reale nelle società contemporanee. Tale insicurezza deriva dalla rimessa in gioco degli statuti sociali attraverso la precarizzazione, delle solidarietà ed identità attraverso la modernità,
e
della pace attraverso i conflitti. Rispondere alla richiesta di sicurezza con un'ideologia "securitaria" e con uno Stato autoritario e repressivo significa promuovere un fenomeno di rincorso di cui approfitterà, in
ultima
istanza, l'estrema destra. Accettare di fare degli stranieri e dei
migranti
dei capri espiatori di questa situazione è pericoloso ed illusorio;
siccome
non sono né la causa e tanto meno la soluzione a questa situazione, la
loro
stigmatizzazione non farà che aumentare i timori e trascinerà tutta la società in una spirale regressiva. Accettare l'idea che l'Europa è in
guerra
contro i migranti e che sia normale che, alle proprie frontiere, centinaia di persone trovino la morte, condurrà ad accreditare la concezione di un' Europa fortezza, chiusa ed indifferente all'evoluzione di un mondo di cui
è
anche responsabile. I migranti fanno parte del popolo; tutti quelli che abitano uno stesso territorio, che vi lavorano e vivono, compreso gli stranieri. Negare la
loro
appartenenza si tradurrebbe abbastanza presto nella negazione di qualsiasi diversità che costituisca la ricchezza di ogni cultura e si oppone alla logica della purificazione etnica. Sarebbe, soprattutto, indebolire il
campo
di tutti coloro ai quali interessa il cambiamento della società. Con l' allargamento del sistema-mondo, la cittadinanza prende nuove forme. La cittadinanza di residenza è una di queste forme. La globalizzazione non annulla le identità nazionali e le solidarietà comunitarie, non annulla nemmeno le frontiere, ma ne modifica l'accettazione. Le solidarietà si appoggiano sulla diversità culturale e le iscrivono in un'unità, quella di un avvenire comune liberamente assunto. La messa al bando dei migranti e degli stranieri fa parte di una politica
di
precarizzazione generalizzata. Tale precarizzazione si traduce nei licenziamenti e nella disoccupazione, nella marginalizzazione degli
impieghi
stabili, nella rimessa in causa degli status sociali e dei sistemi di protezione sociale. La negazione dei diritti per una parte della
popolazione
rende fragile l'insieme della popolazione. Progressivamente, i diritti
delle
categorie successive sono rimesse in gioco. Le donne, che sono sempre più
al
centro delle ristrutturazioni dell'immigrazione, e che sono sottoposte a condizioni specifiche d'oppressione e di dominio, subiscono
particolarmente
il degrado di questa situazione. Nessuna politica, che verta sulla
divisione
e l'esclusione, può assicurare un progresso sociale e democratico; si traduce sempre in una catena di esclusioni. La precarizzazione
generalizzata
è la risultante ricercata dalle politiche neoliberiste della globalizzazione. Tale globalizzazione, nel suo andamento attuale, poggia
su
due fondamenti: le ineguaglianze sociali e le discriminazioni; le ineguaglianze tra paesi e la dominazione del Sud da parte del Nord. I migranti costituiscono il nucleo di queste due questioni. La negazione dei diritti dei migranti trova oggigiorno la sua fonte nella dominazione del
Sud
da parte del Nord, nelle discriminazioni e nella debolezza del movimento
di
difesa solidale. I diritti dei migranti e degli stranieri occupano un
posto
strategico in un progetto d'emancipazione sociale e democratica.
Ricordiamo
qui i cinque principi di base e qualche proposta immediata. La libertà di circolazione e di insediamento fanno parte dei diritti fondamentali. Riconoscerlo è un preliminare e l'indicazione di un obiettivo. Questo riconoscimento non decreta l'apertura immediata ed incontrollata delle frontiere, in quanto come ogni libertà, la libertà di circolazione e di soggiorno dev'essere pianificata ed organizzata. Ma, le difficoltà nell' applicazione di un diritto non autorizza in alcun caso ad accettare la negazione di tale diritto. Tanto più che il rischio di un'invasione
massiva
fa parte di queste false evidenze alimentate con cura; ricordiamo che la parte essenziale dei flussi migratori va da paesi del Sud verso altri
paesi
del Sud e non dimentichiamo che l'apertura delle frontiere nell'occasione dell'adesione all'Europa si è tradotta in un vasto ritorno degli emigranti in tutta l'Europa del Sud. Dei dispositivi d'accoglienza e d'inserimento dovrebbero essere creati coinvolgendo non solo le autorità governative, ma soprattutto in maniera
più
diretta le collettività locali, le organizzazioni sindacali e le associazioni, attori decisivi in materia. Tali dispositivi non avrebbero nessun carattere obbligatorio, ma i candidati all'insediamento sarebbero incoraggiati ad inscriversi, con diverse misure sociali che favoriscano l' accesso all'apprendimento della lingua, all'alloggio, alla scuola ed al lavoro. In tal modo verrebbe finalmente elaborata una politica nazionale
d'
ospitalità, condotta non dai soli poteri pubblici, ma dalla società nel
suo
insieme. Nell'immediato proponiamo l'eliminazione dei visti d'ingresso
per
i soggiorni di breve durata in Europa; di creare un diritto di ricorso sospensivo per tutte le decisioni amministrative che concernano un rifiuto di soggiorno; di ammettere la legittimità delle operazioni di regolarizzazione fondate sul rispetto dei diritti, sulla persona e sul rifiuto di zone di non-diritto; d'iscrivere il diritto all'insediamento in Europa per i cittadini residenti all'estero della zona ACP negli accordi
di
cooperazione. La lotta contro le ineguaglianze e le discriminazioni dev'essere il fondamento delle politiche pubbliche. Le ineguaglianze sono strutturate dalle discriminazioni; la lotta contro le ineguaglianze passa dunque per
la
lotta contro le discriminazioni. I migranti e gli stranieri sono una delle frazioni della popolazione più esposte; il rispetto dei loro diritti fa parte integrante della lotta per il rispetto dei diritti di tutti. La
lotta
contro le discriminazioni, che passa per il rispetto dei diritti fondamentali e la garanzia di uguale accesso, dev'essere il fondamento
delle
politiche pubbliche. Abbiamo tutti potuto verificare come ogni attento
all'
accesso, da parte degli stranieri, ai servizi pubblici non é che una prima tappa per restringere l'accesso di tutti ai sevizi e subordinare tale accesso a dei meccanismi di mercato discriminatori in funzione del
reddito.
Nell'immediato, proponiamo di sostituire il principio dell'uguaglianza dei diritti a quello del mantenimento dell'ordine pubblico nelle legislazioni concernenti gli stranieri; di annullare la doppia pena; di unire la lotta contro il lavoro clandestino alle politiche di lavoro, alla garanzia dei diritti delle persone e al rispetto del diritto al lavoro. La cittadinanza di residenza è oggigiorno il fondamento democratico delle nostre società. Preserva il rapporto tra cittadinanza e territorio danneggiato dalla globalizzazione. Fonde le libertà democratiche di ogni persona rispetto all'imposizione delle appartenenze comunitarie. Diverse evoluzioni vanno in questo senso, l'evoluzione del diritto della
nazionalità
con un maggior riconoscimento al diritto del suolo, del diritto di voto
nell
'Unione Europea, le elezioni dei probiviri, le prove di democrazia partecipativa, etc. Questa progressione delle pratiche democratiche si scontra con i nazionalismi aggrappati a concetti retrogradi. La sfida del periodo che verrà è nell'allargamento e l'approfondimento democratico attraverso l'articolazione di forme rappresentative e partecipative a
tutti
i livelli : quelli dell'impresa, livello locale, livello nazionale,
livello
regionale ed in particolare a livello dell'Europa e mondiale. Il posto
dei
migranti e degli stranieri è un rivelatore di tale evoluzione. Nell' immediato, proponiamo di confermare il fondamento della nazionalità sul diritto di suolo; di garantire l'uguaglianza dei diritti a tutti i residenti; d'aprire gli impieghi riservati e di rigettare le preferenze nazionali o europee; di estendere la cittadinanza europea a tutti i residenti; di assicurare uguale accesso dei residenti a tutte le istanze partecipative e rappresentative. La solidarietà internazionale è uno dei principali valori di riferimento
in
rapporto al corso dominante della globalizzazione. Bisogna ricordare il ruolo storico dei flussi migratori, e dei migranti in quanto attori determinanti, nello sviluppo delle società d'origine e delle società d' accoglienza. Ricordare anche che i flussi migratori sotto differenti forme (migrazione economica, richiedenti asilo, diaspore, esodi di cervelli ed assistenza tecnica, etc) strutturano lo spazio mondiale e rappresentano
uno
degli aspetti della globalizzazione, Ricordare infine il rapporto tra migrazione e sviluppo; è impossibile riflettere sullo sviluppo e sul
sistema
mondiale al di fuori dei flussi migratori; l'immigrazione è al corso dello sviluppo. Le modalità di cooperazione messe in atto dai migranti rinnovano la cooperazione. I migranti sono un vettore strategico e privilegiato
della
sensibilizzazione delle società europee, e della solidarietà
internazionale,
in Francia, in Europa e nei paesi d'origine. Appoggiarsi alla ricchezza e alla diversità degli abitanti e dei cittadini, è ancorare la cooperazione nella realtà dei quartieri, dei comuni e delle regioni, è costruire un livello superiore d'identità e unità, è aprire la Francia e l'Europa al mondo. Nell'immediato, proponiamo di difendere le libertà d'associazione e di espressione come uno dei fondamenti della cooperazione; di riconoscere
i
migranti come degli attori essenziali della cooperazione; che qualsiasi accordo di cooperazione comporti delle aperture sulla libertà di circolazione, le condizioni delle libertà d'insediamento e le condizioni
di
formazione e di qualificazione. La garanzia del rispetto dei diritti dei migranti dev'essere rinforzata
nel
diritto internazionale. Non possiamo accettare che il diritto
internazionale
sia subordinato al diritto degli affari e regolato dall'Organizzazione Mondiale del Commercio. Accettare che i migranti vengano considerati come mercanzie è accettare un passo in più nel mercanteggiamento della specie umana. Nell'immediato, dobbiamo esigere che il governo francese, gli altri governi europei e l'Unione Europea, ratifichino la «Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti
e
dei membri della loro famiglia» approvata il 18 dicembre 1990
dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite, firmata da soli 26 paesi, e per altro unicamente dei paesi del Sud; potrebbe dare delle vere garanzie ai
migranti
sul piano internazionale. Proponiamo anche una Conferenza Internazionale organizzata dalle Nazioni Unite per discutere dei flussi migratori e della garanzia dei diritti dei migranti, della libertà di circolazione, dell' uguaglianza dei diritti tra residenti e dei diritti dei rifugiati nel regolamento dei conflitti. Una prima tappa, associando i differenti
settori
dell'opinione, e particolarmente i migranti, può essere attuata
nell'Unione
Europea.
Traduzione a cura di : Lydia Bellik
6 - Il movimento per un'altra globalizzazione ed internet: possiamo liberarci dei formati mediatici? __________________________________________________________
di Dominique Cardon e Fabien Granjon
La creazione di reti transnazionali di militanti reclama mezzi particolari per la coordinazione delle azioni collettive, la diffusione dell' informazione e il mantenimento di una struttura multipolare. Non è un caso che le reti di lotta alla gestione neoliberista della globalizzazione hanno sviluppato un uso precoce e decisivo di Internet. Geograficamente separati e con solo rare occasioni di incontrarsi al di fuori dei grandi raduni, gli attivisti contro la globalizzazione neoliberista hanno inserito la rete delle reti nella maggior parte delle loro pratiche militanti. Le tecnologie di Internet partecipano così alla costituzione di un nuovo repertorio di azione collettivo (appelli alla mobilitazione, reti di allarme, sit-in virtuali, petizioni on line, "bombardamenti" via e-mail, ecc.). Il web e le liste di diffusione favoriscono anche nuovi metodi cooperativi di produzione e di diffusione dell'informazione. In poco tempo, la Rete è diventata il principale spazio di visibilità delle riflessioni e delle azioni del movimento per un'altra globalizzazione. Anche se il suo "ascolto" resta limitato ad una nebulosa
di
militanti e di giornalisti interessati, la copertura sul web dei controvertici (Seattle, Praga, Quebec, Genova, Porto Alegre, Firenze,
ecc.)
rompe sensibilmente con quella assicurata dai mass media tradizionali. Sebbene questa distinzione sia molto artificiale, non è molto difficile costatare che questa produzione alternativa d'informazione on line è più documentata, più illustrata, più polemica e molto più focalizzata sulle poste in gioco della critica della globalizzazione rispetto a quella prodotta dalla stampa professionale.
Critica "controegemonica" e critica "prospettivista" dei media La critica dei media è centrale nella costituzione del movimento per un' altra globalizzazione. Questa ispira alla creazione di cani da guardia influenti, come FAIR (Fairness and Accuracy In Reporting), ONG che esegue una sorveglianza della copertura giornalistica delle azioni militanti. Tra
i
membri fondatori di Attac si contano anche numerosi organi di stampa (Le Monde Diplomatique, Charlie Hebdo, Politis .) che sviluppano anch'essi posizioni critiche sul funzionamento del mondo giornalistico. Questa vigilanza costituisce una delle sensibilità meglio condivise dai militanti contro la globalizzazione neoliberista particolarmente attenti alla costruzione delle rappresentazioni dominanti e al rischio di vedersi spodestare della loro espressione. Vorremmo sostenere qui che se Internet svolge un ruolo importante nella costituzione del movimento mondiale di resistenza al neoliberalismo, è soprattutto perché offre un terreno sperimentale sul quale si possono edificare i dispositivi di pubblicazione che cercano alternative alle pratiche mediatiche più critiche.
Molto sommariamente, si possono isolare due direzioni diverse nelle
critiche
che questo movimento indirizza ai mass media. Una prima critica, in cui Le Monde Diplomatique è il rappresentante accreditato in Francia, può essere chiamata controegemonica. Questa si sofferma nel mettere in luce la funzione propagandistica degli "apparati ideologici della globalizzazione" che sono i media e invita alla creazione di un "contropotere critico". Forte dei numerosi successi editoriali (P. Bourdieu, N. Chomsky, S. Halimi, I. Ramonet), denuncia alla rinfusa la sudditanza delle agenzie di stampa al mondo politico-economico, la
chiusura
dello spazio giornalistico sulle sue sfide professionali, la ricerca del profitto e il sensazionalismo. Con differenze sensibili secondo gli
autori,
i giornalisti sono chiamati a riprodurre il pensiero dominante per ideologia, per favoreggiamento o per l'effetto delle costrizioni che esercitano su loro le condizioni di produzione dell'informazione.
D'altronde
è solo in quest'ultimo caso che le critiche controegemoniche accordano ai giornalisti una lucidità sufficiente sul sistema mediatico per poter partecipare alla formulazione di riforme e possibilità alternative. Le questioni della verità e dell'errore, dell'inganno e della cecità sono decisive. Ed è sconvolgente constatare che le alternative avanzate dalla critica controegemonica dei media presentano forti vicinanze con il lavoro delle scienze sociali: riferimento al modello di scientificità dell' esattezza, distanziamento massimo, tempi d'investigazione lunghi, rottura con i formati corti e le formule, debole integrazione del lettore nelle preoccupazione del redattore. Il discorso controegemonico deve produrre
una
contro-perizia. Una seconda critica dei media, d'ispirazione libertaria, si eleva contro
la
chiusura della cerchia dei produttori d'informazione e l'asimmetria intrattenuta verso i loro lettori. La critica prospettivista rifiuta l' accaparramento della parola da parte dei professionisti, dei portavoce e degli esperti. Meno focalizzata sulla questione della verità che su quella dell'affermazione espressiva delle soggettività, s'impegna principalmente
a
difendere e a promuovere i diritti del locutore. Questa attinge la sua ispirazione nei manifesti militanti di difesa dei media comunitari, alternativi o radicali e, più recentemente, s'incarna nelle posizioni autonome di Harry Cleaver (1) o di Michaël Hardt e Toni Negri con la loro tematica della moltitudine. Questa, d'altronde, intrattiene strette
affinità
con le posizioni difese dai militanti politicizzati del software libero.
Di
contro alle tendenze monopolistiche che si esercitano nello spazio
pubblico,
la critica prospettivista rivendica l'instaurazione di dispositivi di
presa
di parola aperti. Milita per l'emancipazione verso le violenze imposte dai formati mediatici che tendono a privilegiare l'espressione dei locutori capaci di onorarne le esigenze sociali e culturali e a scartare quelli
che,
non possedendo le competenze e le qualità richieste, non possono soddisfarle. Se queste due critiche, controegemonica e prospettivista, sono a volte confuse, le tradizioni di pensiero che le nutrono sono sensibilmente diverse. La prima, essenzialmente centrata sulla critica del funzionamento del campo giornalistico, si mostra spesso molto critica verso i postulati "naïf" dei partecipazionisti, del loro relativismo e per il loro fascino
per
le tecnologie di Internet. Questi ultimi considerano, quanto a loro, che
la
denuncia del pensiero unico costituisce una proposizione insufficiente per creare alternative reali, ovviamente perché non garantisce nulla contro la ricostruzione di altre forme di confisca della parola, da parte degli esperti o dei portavoce di organizzazioni militanti (2). È sconvolgente costatare che questi due tipi di critica cercano di esprimersi attraverso due grandi famiglie di dispositivi creati su
Internet
dagli attori del movimento per un'altra globalizzazione, i siti di contro-perizia e i siti mediattivisti. Questa distinzione non cerca di riassumere un insieme ingarbugliato di formati di comunicazione, di
tecniche
di diffusione dell'informazione e di modelli di condivisione delle risorse editoriali tra pubblicazioni. Tenta semplicemente di puntare a due orientamenti diversi nello spazio del web militante. Questo offre,
infatti,
numerose risorse per la costituzione quasi sperimentale di media alternativi. La plasticità tecnica dello strumento favorisce l'invenzione
di
forme mediatiche innovative. I costi di sviluppo e di produzione sono ridotti e i problemi di distribuzione limitati. Le diverse professioni del canale di produzione giornalistica sono integrate e possono sempre più facilmente essere assunti da redattori dotati di un minimo di competenze informatiche. Il lavoro di produzione dell'informazione è molto abbondantemente volontario. Infine, prendendo in prestito dalla cultura
dell
'informazione libera, il campo dei militanti dell'informazione francese ha sviluppato pratiche di cooperazione e di scambio di articoli tra pubblicazioni e organizzazioni.
Dispositivi di contro-perizia. I siti "controegemonici" su Internet sono numerosi. Alcuni sono delle "webzine" militanti aventi come unico supporto, Internet come Les
Pénélopes
(http://www.penelopes.org) o Cybersolidaires (http://www.cybersolidaires.org) siti cyberfemministi, Place publique (http://www.palcepublique.fr) sito di Internet cittadino o Mediasol (http://www.mediasol.org), portale di economia solidale. Altri sono siti
web
con pubblicazione cartacea o con un collettivo di media aventi una linea editoriale chiaramente "impegnata" a fianco del movimento per un'altra globalizzazione (Rouge http://www.rouge.fr, Politis http://www.politis.fr, Témoignage Chrétien...), altri sono legati a gruppi associativi e
militanti
(Attac http://www.attac.org, No Pasaran, Les Amis de la terre...) o a dei momenti di mobilitazione come la "Girandola internazionale
dell'informazione
indipendente" (La Ciranda, http://www.cirande.net) creata per distribuire
le
diverse produzioni giornalistiche e militanti del Forum sociale mondiale
di
Porto Alegre. Questi media si pongono a volte in una logica di concorrenza con lo spazio pubblico dei mass media, ovviamente per la copertura di manifestazioni e controvertici. Ma si definiscono soprattutto come spazi
di
contro-perizia proponendo su questioni specifiche un discorso unendo specializzazione e indignazione. Sui temi dell'acqua, del debito, delle donne, delle disuguaglianze tra Nord e Sud o della brevettabilità dell' essere vivente, accolgono la produzione editoriale degli universitari,
degli
intellettuali e dei militanti "riflessivi" che si sono interessati a
diversi
gradi nel movimento per un'altra globalizzazione. Questi media attuano tecniche di critica informativa che, senza essere originale né tipica del web, possono esercitarsi in maniera continua e pubblica. Svolgono una sorveglianza a volte estremamente tecnica delle attività degli organismi internazionali (come i "Riassunti dell'OMC" pubblicate dal gruppo Trattati internazionali di Attac-Marsiglia). Questi esercitano una pressione
continua
per ottenere documenti e informazioni da parte delle imprese e delle istituzioni. Producono archivi riunendo informazioni abitualmente disperse (come sul sito transnationale.org che mappa i legami capitalistici delle multinazionali) ed esercitano un diritto di sequela interrogando con
tenacia
il loro bersaglio. I siti di contro-perizia controegemonici si caratterizzano infine per l' apertura dei formati di scrittura che propongono. Vi si trovano testi
brevi
e lunghi, distanti e interessanti, moderati e radicali, di carattere istituzionale o utilizzando la forma della testimonianza personale. Il discorso di contro-perizia rasenta i testi militanti stabilendo una prossimità che favorisce il passaggio da una posizione di
"sapiente-esperto"
a quella di "intellettuale specifico" (3). Attuando le risposte alla
critica
della leggerezza nel trattamento dell'informazione e delle costrizioni di formato indirizzate alle produzioni giornalistiche, i siti di
contro-perizia
controegemonica offrono tuttavia nuovi appigli alla critica. Rischiano di riportare sulla scena di Internet un nuovo dibattito di esperti tra intellettuali vicini alle organizzazioni e militanti riflessivi, dibattito chiuso in se stesso e difficile da accedere per i nuovi partecipanti.
Dispositivi mediattivisti. I siti mediattivisti possono essere visti come dei tentativi di attuazione di un media prospettivista ridistribuendo a tutti il diritto alla parola e lavorando alla cancellazione della frontiera tra produttori d'informazione volontari (militanti, testimoni) e professionisti (giornalisti, esperti).
Il
mediattivismo denuncia in effetti nello stesso movimento l'imparzialità illusoria dei professionisti dell'informazione così come la parola autoritaria dell'élite militante che rappresenta ai suoi occhi i due principali regimi di confisca della parola. Le loro critiche esprimono il carattere centralizzatore, conformista, autoritario e oppressivo dei media centrali, verso cui propongono spazi di diffusione alternativi, auto-organizzati, liberi a priori da qualunque tipo di censura e
permettendo
di dare un podio alla moltitudine degli attori collettivi e individuali
che
traccia i contorni sfuggenti di questo movimento. Questa ispirazione libertaria ha origine nella tradizione dei media alternativi
particolarmente
viva nell'America del nord e del sud sin dagli anni 70 e che si è
sviluppata
soprattutto intorno a radio comunitarie e all'attivismo video e nell' esperienza dei Centri sociali in Italia. Nata nel novembre del 1999 durante il vertice di Seattle intorno al Direct Action Network, la rete Indymedia (Indipendent Media Center) incarna
questa
cultura dell'autonomia nello spazio del web militante. Non esistono alcun responsabilità prefissata e dispone di una struttura relativa all' organizzazione. Gli 80 comitati Indymedia ripartiti in una ventina di
stati
funzionano su una base auto-organizzata e decentralizzata. Altri siti mediattivisti possono essere paragonati a questo, come il Centro dei media alternativi del Quebec (CMAQ, http://www.cmaq.net/) (4). La caratteristica principale di questi media è di sostenere il principio della pubblicazione aperta (open publishing) permettendo all'insieme degli individui che lo desiderano di pubblicare on line, quasi istantaneamente e in diverse lingue, ogni tipo di documento (testi, suoni, immagini statiche
o
animate). Per la maggior parte del tempo, applicando un principio di
stretta
trasparenza, gli animatori si rifiutano di esercitare un controllo editoriale. Gli editori di CMAQ desiderano di contro filtrare i contenuti "astiosi", ma sempre mantenendo il principio della pubblicazione aperta. Così i nuovi testi sono pubblicati immediatamente sul sito, ma in una rubrica specifica: "In attesa di convalida". Il modello di funzionamento
dei
mediattivisti tenta, per quanto possibile, di promuovere una struttura collaborativa minimizzando le relazioni di autorità. Diffidando delle procedure di delega, di rappresentazione e di voto, i mediattivisti si rimettono al principio del consenso. A differenza della critica sviluppata dai media della contro-perizia che prende in prestito le forme abituali della denuncia (i persecutori sono le imprese, gli stati e le
Organizzazioni
internazionali; le vittime sono i contadini e i lavoratori), i siti mediattivisti sporgono piuttosto una denuncia verso le forze di
repressione
dello stato (polizia e forze armate) prendendo la difesa dei senza
(diritti,
tetto, documenti, lavoro .). Essi tentano anche di mettere direttamente a disposizione dell'azione militante le informazioni (volantini, luoghi d' incontro, partecipazione in diretta on line delle manifestazioni, ecc.), diffidando delle forme gerarchiche di controllo e d'inquadramento delle mobilitazioni. Non esercitando nessun controllo sul formato dei testi postati, i
contributi
al sito di Indymedia-Francia sono estremamente eterocliti. Alcune prese di parola si svestono dalle convenzioni della scrittura esperta,
giornalistica
o militante e indossano una forma molto soggettiva. Si trovano insieme convocazioni militanti, duplicati commentati e annotati di articoli giornalistici, scambi personali tra militanti, petizioni, testi teorici o opinioni che scatenano fiumi di risposte, sfuriate, poesie e rimproveri. Contrariamente ai media di contro-perizia che offrono alla fine molto poco spazio al dibattito, i dispositivi mediattivisti si appoggiano ampiamente
a
liste di diffusione e forum (non orientati verso la presa di decisione)
nei
quali sono discussi, spesso in una cacofonia di punti di vista, dalla pertinenza e dal tenore dei contributi. Senza dubbio questa varietà di formati di enunciazione è, principalmente, necessaria all'apertura di uno spazio di parola per i non professionisti. Bisogna tuttavia costatare che nella maggior parte dei casi, questi luoghi di scambio si limitano ad una cerchia - anche se aperta e permeabile - di militanti agguerriti, soprattutto per il fatto del livello elevato di politicizzazione e di radicalità degli argomenti. Il modello della pubblicazione aperta è
fragile.
Rispondendo alla "esigenza di uno spazio di pubblicazione aperta alla polifonia dei soggetti attivi del movimento", questo scappa difficilmente dalle "trappole di un" forum "in cui tutto è riversato alla rinfusa, dall' informazione fattuale al testo umoristico passando per il volantino propagandistico all'articolo d'analisi" (5). Lascia anche aperta la strada a provocazioni come l'infiltrazione di testi antisemitici che ha scatenato il gelo da parte degli animatori del sito francese di Indymedia. Senza essere contestato nel suo principio, i dibattiti della comunità mediattivista, rimettono oggi in causa gli
effetti
indesiderabili della pubblicazione aperta per cercare di stabilire regole
di
moderazione e di controllo collettivo dei formati di pubblicazioni.
Il riarmo della parola critica I media alternativi dell'altra globalizzazione non offrono soluzioni radicalmente diverse ai problemi riscontrati dai media centrali.
Condividono
le stesse sfide, affrontano gli stessi eventi ed interrogano i fatti con
gli
stessi mezzi interpretativi. Tuttavia le risorse tecniche dei media, l' assenza di esigenze di redditività e il volontariato dei redattori permettono di alleggerire alcune costrizioni che pesano in modo molto più pesante sulla produzione di informazioni nei formati mediatici
tradizionali.
Così, il riarmo del discorso critico è reso possibile in questi spazi di parola con uno spostamento delle costrizioni che pesano abitualmente sul redattore verso il recettore. Presupponendo un lettore attivo, anch'egli partecipante alla produzione dell'informazione o esperto interessato e curioso, i dispositivi di pubblicazione dell'altra globalizzazione si liberano dei formati di scrittura imposti dalle preoccupazioni di
facilitare
l'incontro con un pubblico ampio e affrettato. Questi facilitano la controinchiesta, la polemica, l'espressione dei testimoni e delle vittime. Così facendo, rischiano anche di ridurre il loro pubblico ad una cerchia ristretta di militanti, d'esperti e di giornalisti, uniche popolazioni disposte a circolare in questo groviglio di testi. L'impegno in questi dispositivi non beneficia gli individui dotati di un capitale sociale e culturale permettendo loro di avere sia un interesse
per
la politica che una minima competenza della telematica. Più in tensione che in rottura con il lavoro dei media centrali, questa produzione editoriale su Internet esercita alcuni effetti sulla copertura dei fenomeni di globalizzazione. Innanzitutto perché i giornalisti sono senza dubbio i primi a venir prelevati dall'informazione su questi siti e che alcuni hanno stretto forti relazioni d'interdipendenza con gli attori
e
i militanti del "web antiglobalizzazione". Ma anche perché gli enunciati e
i
modi di enunciare che si sono sviluppati su questi media hanno contribuito
a
ridare nuova forza al discorso della critica internazionale. Sebbene Internet non è altro che il supporto di questo riarmo del discorso
critico,
bisogna costatare che questo ha permesso di togliere i divieti, pesanti sulla forma degli argomenti e sul tono delle prese di parola. I media
della
contro-perizia hanno ridato forza ad alcuni formati di enunciati, facilitando il dispiegamento di una retorica della prova, della vigilanza
e
dell'investigazione. I mediattivisti hanno esplorato alcuni formati dell' enunciazione incoraggiando la testimonianza, l'appello alla mobilitazione
e
la collera. Possiamo, pertanto, attribuire a questi media delle trasformazioni che trovano la loro spiegazione principalmente nell'analisi delle relazioni tra spazi militanti e intellettuali? È questa la posta in gioco? Uno dei dibattiti ricorrenti nel campo dei media radicali è il
sapere
se bisogna concepire i media militanti come un'alternativa allo spazio mediatico convenzionale, cercando di fargli concorrenza, riformarli o imporgli una nuova agenda, o ancor più come dei "media cittadini" cercando di moltiplicare i dispositivi riflessivi in seno alla sfera militante, di favorire le esperienze di messa in atto degli impegni e di fare della questione della "democratizzazione dell'informazione" una sfida locale, mirata e specifica ad ognuna delle lotte intraprese.
Per questo articolo contattate fabien.granjon@rd.francetelecom.com
(1). H. Cleaver ha allestito la rete di diffusione del movimento
zapatista.
Numerose informazioni su questa esperienza sono consultabili sul suo sito web personale:
http://www.eco.utexas.edu/faculty/cleaver/zapsincyber.html
(2) Consultare S. Halimi, " Des "cyber-résistants" trop euphoriques ", Le Monde Diplomatique, août 2000. ("I "cyber-resistenti" troppo euforici", Le Monde Diplomatique, agosto 2000. NdT). (3) Consultare M. Foucault, " La fonction politique de l'intellectuel ", Dits et écrits II. 1976-1988, Paris, Quarto Gallimard, texte 184, p. 109-114. ("La funzione politica dell'intellettuale" Dits et écrits II. 1976-1988, Parigi, Quarto Gallimard, testo 184, p. 109-114. NdT). (4) A questo proposito, il sito mediattivista francese di Samizdat http://www.samizdat.net) d'ispirazione autonoma, fa eccezione rifiutando
il
principio della pubblicazione aperta preferendosi costituirsi centro di risorse militanti e assicurare una copertura delle mobilitazioni
attraverso
cerchie affini di corrispondenti. Consultare X. Crettiez, I. Sommier, La France rebelle, Parigi, Michalon, 2002, p. 417-420. (5) J.-P. Masse, A. Papathéodorou, " Communiquer à Gênes, communiquer
Gênes
", in Samizdat.net, Gênes. Multitudes en marche contre l'empire, Paris, Reflex, 2002, p. 243-251. ("Comunicare a Genova, comunicare Genova", in Samizdat.net, Genova. Le moltitudini in marcia contro l'impero, Parigi, Reflex, 2002, p. 243-251. NdT).
Traduzione a cura di Francesco Verde
Il Granello di Sabbia è realizzato da un gruppo di traduttori e
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