TESTIMONIANZA DIRETTA DAL VENEZUELA DA 2 VOLONTARI DI UNA ONG CATTOLICA BRESCIANA
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Giacomo e Federica sono in Venezuela da due anni e mezzo; lavorano nei barrios di Ciudad Guayana, tra il pueblo, possono permettersi di avere una visione ravvicinata di quello che succede. Quello che loro raccontano non è esattamente quello che è passato in televisione oggi, credo sia esemplare. Quante altre volte le notizie che arrivano a noi sono così manipolate?
Golpe in Venezuela
Carissimi amici, rispondiamo con una lettera circolare a quanti ci hanno scritto e telefonato in queste ore. Vi preghiamo di diffondere questo messaggio a tutti gli amici, anche a quelli che non hanno un indirizzo di posta elettronica. Per prima cosa vorremmo dirvi di stare tranquilli per noi: qui in cittá non é successo quasi niente, gli scontri sono solo a Caracas, la capitale. Come quasi tutti voi sapranno questa notte c'è stato infatti un colpo di Stato ed é caduto il governo del Presidente Hugo Chávez. Un governo legittimo che é passato per 6 processi elettorali in meno di tre anni e non ha mai ottenuto meno del 60% dei consensi. Un governo che ha fatto sí molti errori, ma che consideriamo solo errori di forma, non di principio. Un governo che al clamore delle folle che esigevano mano dura, ha sempre risposto no (sará forse stato questo il suo piú grande errore?). Un governo decisamente sbilanciato verso la promozione della partecipazione popolare. Un governo che ha fermato il processo di privatizzazione delle principali imprese statali contrarrestando cosí gli effetti della globalizzazione ed é stato accusato dai media di portare il paese verso una situazione simile a quella argentina (ci domandiamo com'é possibile, visto che Chávez stava facendo quasi l'esatto contrario di quanto fatto da De La Rua). Un governo che come primo passo ha deciso di promuovere un'Assemblea Costituente che in seguito ha promulgato una nuova Costituzione, fra le piú avanzate al mondo per quanto riguarda i diritti umani. Un governo che ha lavorato e che ha riconosciuto senza vergogna la situazione di estrema povertá vissuta dall'80% della popolazione. Un governo che nei discorsi ufficiali ha sempre invitato alla calma, al dialogo ed alla pace, aggiungendo un solo piccolo particolare: "Dove non c'è giustizia non c'é pace!" Tutte queste cose sui mezzi di comunicazione italiani non si diranno. Come non si dirá che cosa sia successo davvero l'11 aprile a Caracas. Certo si é a conoscenza del numero di morti e feriti, ma chi li ha causati? Dalle informazioni raccolte si sa solo che la marcia organizzata da chi voleva la rinuncia di Chávez si é spinta fino al palazzo del Governo, che era difeso oltre che dall'esercito, dalla gente che stava appoggiando il Presidente. Ci sono molte testimonianze che indicano che i franchi tiratori che hanno sparato sulla folla erano poliziotti in borghese della Polizia Metropolitana (un corpo che obbedisce al Sindaco Alfredo Peña, avversario di Chávez). Ma tutto questo non é dimostrabile perché ora, visto che le forze "democratiche" che hanno incitato a questa "presa di potere per la salvaguardia della democrazia e della libertá di espressione", hanno il controllo di tutte le televisioni private e uno dei primi provvedimenti presi ieri sera é stato quello di oscurare il canale di stato (fino ad allora unica fonte alternativa di informazione). Per favore, vi preghiamo di non credere che questo colpo di stato sia a favore della libertá e della democrazia. Il governo caduto era stato eletto democraticamente dalla gran maggioranza della popolazione. Chi lo ha abbattuto ha potuto farlo perché contava su forti finanziamenti, anche dall'estero, sull'appoggio dei grandi imprenditori venezuelani e sul controllo totale dei mezzi di comunicazione. In tre anni di governo "rivoluzionario" non vi é stato nessun arresto politico. Oggi, a meno di dodici ore dal colpo di stato, in una situazione inconstituzionale e senza un documento di rinuncia da parte del presidente Chávez, si sono effettuati una serie innumerevole di arresti a persone ASSOLUTAMENTE INNOCENTI, ree solo di appartenere ad un governo che cercava un cambiamento nella gestione del potere politico ed economico in Venezuela. Susana, una delle donne con cui lavoriamo nel barrio ci ha telefonato stamattina presto dicendo: "Siamo in lutto: ormai é finita ogni speranza per i poveri", questo é il clima che si respira, qui nei quartieri marginali, mentre a Puerto Ordaz, la zona ricca della cittá, si sta festeggiando. Domani 35 donne del nostro gruppo di Altamira avrebbero dovuto consegnare i progetti per altrettante microimprese di produzione per ottenere un piccolo credito dal Banco de la Mujer (la "banca della donna", uno dei tanti programmi del governo volto a dare un appoggio concreto alle iniziative di autosviluppo). Era per noi una bella esperienza in cui le persone hanno imparato a scrivere i loro piccoli progetti, senza per forza chiedere soldi a noi italiani. Ormai non c'è piú nessun Banco de la Mujer. Hermelinda, una delle collaboratrici dello SVI, ci ha invitato ad andare a fare una visita casa per casa a tutte le donne del gruppo, perché non perdano la speranza. Ci ha invitato a organizzare un corso o una qualsiasi attivitá per far sí che la gente non si perda d'animo. Abbiamo camminato, abbiamo incontrato persone che piangevano altre che pregavano. La gente non riesce a capire: "Era il nostro Presidente, noi abbiamo votato per lui". Rosa, un'altra delle donne con cui lavoriamo, ha dichiarato: "adesso verrá la repressione, poi tornerá la corruzione piú forte di prima, noi cosa volete che facciamo? Continuiamo a lavorare per la comunitá". Abbiamo solo pochi giorni per poter almeno parlare di tutto questo con le persone che non sono cadute nella trappola della propaganda. La gente di cui meno ci si puó fidare sono purtroppo molti membri attivi della Chiesa e se oggi le ricerche sono orientate ai circoli bolivariani ed alle persone con cariche politiche strategiche che non si siano giá giocate come voltagabbana, piú in lá potranno presentarsi controlli ramificati fino alle organizzazioni popolari in genere.
Giacomo Signoroni e Federica Nassini SVI - Servizio Volontario Internazionale Volontari in servizio a Ciudad Guayana - Venezuela 12/04/02 ______________________________________________________________________________________________________________________ Dopo aver scritto un lungo testo sul golpe in Venezuela ecco il miracolo: i golpisti sono stati sconfitti. Una oceanica folla di poveri riporta con la non violenza la legalita' in Venezuela. Chavez ritorna a dirigere il governo, lui che era stato l'unico legittimo leader democraticamente eletto. Il capo della Confindustria Venezuelana - che aveva usurpato il potere - deve lasciare il palazzo presidenziale. Evviva. Questa volta la storia gira dalla parte dei diseredati. Gli Stati Uniti - che avevano approvato il golpe con una nota ufficiale del governo - devono rassegnarsi. E cio' avviene, cosa importante, in modo pacifico. E per questo e' significativo il testo (qui di seguito riportato) scritto con indignazione contro il golpe che aveva destituito Cavez. Vi troverete tutte le ragioni per cui il popolo venezuelano ha liberato Chavez e ha impresso alla storia dell'America Latina una svolta come mai era avvenuto prima.
Alessandro Marescotti www.peacelink.it
I retroscena del colpo di stato in Venezuela Il golpe ai tempi della globalizzazione - di Alessandro Marescotti
Golpe in Venezuela. La globalizzazione muta i protagonisti dei colpi di stato e se nel 1973 il golpe aveva il volto di Pinochet oggi ha il volto del presidente della confindustria venezuelana, Pedro Carmona Estanga. Il presidente venezuelano Hugo Chavez, democraticamente eletto, da tempo non era gradito alla Casa Bianca e recentemente era entrato in rotta di collisione con Bush. Vediamo perché.
CHAVEZ, "DECISAMENTE IRRITANTE" Hugo Chavez il 10 agosto 2000 fece scandalo: incontrò Saddam Hussein, primo leader politico a rompere l'isolamento dell'Irak dall'inizio della Guerra del Golfo. Chavez offerì all'Irak appoggio perché sia messo fine all'embargo che grava sul Paese dal 1990. Il portavoce del dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, definì "decisamente irritante" il fatto. Chavez era impegnato in un tour di dieci giorni che lo porterà in tutti i Paesi appartenenti all'Opec, l'organizzazione che riunisce alcuni degli Stati esportatori di petrolio: sosteneva la necessità che l'Opec tagliasse la produzione giornaliera di barili di petrolio per mantenere alti i prezzi del greggio. Il Pentagono fece sapere che gli USA stavano "perdendo la pazienza". Chavez rispose: "Io, se voglio, vado pure all'inferno". Aggiungendo: "Che cosa ci possiamo fare se gli americani si seccano? Noi abbiamo una dignità, e il Venezuela è un Paese sovrano. Ha il diritto di prendere le decisioni che ritiene nel proprio interesse". E di un altro imperdonabile peccato si era già macchiato il suo governo: quello di aver rotto dichiaratamente l'isolamento di Cuba non nascondendo anzi la propria ammirazione per Fidel e per l'esperienza rivoluzionaria cubana.
PETROLIO PER DARE AI POVERI E TOGLIERE AI RICCHI Ma ritorniamo al petrolio. Chavez intendeva fissare un livello internazionale del prezzo del petrolio (25 dollari al barile): i paesi produttori avrebbero fatto scattare automaticamente un aumento della produzione se le quotazioni del barile fossero salite, decidendo una diminuzione della produzione se i prezzi fossero scesi sotto la soglia prevista. In pratica Chavez aveva un'idea di autodeterminazione e di indipendenza che non era gradita alla Casa Bianca: gli Usa dipendono massicciamente dal petrolio del Venezuela. Il Venezuela è l'unica nazione dell'America Latina a far parte dell'Opec, organizzazione centrata sulle nazioni del Medio Oriente. Prima di Chavez il Venezuela era noto all'interno dell'Opec per la scarsa adesione alle restrizioni imposte dal cartello dei Paesi produttori. Con Chavez la politica di scambio stava cambiando: vendeva petrolio a un prezzo ridicolo a Cuba, puntando ad un innalzamento dei prezzi negli scambi verso Usa e paesi ricchi. E negli Usa, dopo due anni di politica estremamente cauta condotta dai democratici nei suoi confronti (proprio per l'importanza del paese nel settore energetico), i repubblicani nel 2001 cominciarono ad accusare Chavez di appoggiare i gruppi guerriglieri di tutta la zona andina e percepiscono la sua politica come ulteriore elemento di instabilità. La Casa Bianca ha puntato a bloccare l'economia interna venezuelana, come nel 1973 fece per Salvator Allende, sostenendo un coacervo di forze che facevano resistenza a Chavez. E vediamo perché.
LE RIFORME MAL DIGERITE Il 13 Novembre 2001 in diretta televisiva, Chavez ha annunciato il passaggio di un vasto pacchetto di riforme economiche, ben 49, che intendevano modificare, a volte anche radicalmente, i più differenti settori dell'economia del paese: i più controversi sono quelli relativi alla Legge sulla terra e a quella sugli Idrocarburi.
La Legge sulla terra avrebbe permesso al governo di confiscare e ridistribuire terreni privati coltivati che eccedano una certa dimensione e che siano giudicati improduttivi; la legge dava inoltre allo stato il potere di controllare l'utilizzo agricolo dei terreni. Inoltre gli agricoltori dovranno mostrare i titoli di proprietà delle terre che utilizzano a iniziare dal 18 Dicembre (8 giorni dopo l'entrata in vigore della legge) onde evitare l'espropriazione. Il Miami Herald, riportando uno studio fatto dall'Istituto Nazionale Agricolo del Venezuela, stima che quasi il 95% dei proprietari terrieri nel paese non possiede titoli legali delle proprie proprietà.
CONTESTATO DA LATIFONDISTI, SINDACALISTI E PETROLIERI Ecco perché i grandi latifondisti li abbiamo visti protestare in piazza. La terra agli indios poveri sarebbe stata una vera ingiustizia, per loro. In piazza, con i latifondisti, sono scesi negli scorsi giorni anche gli industriali e i sindacati. Ma perche' anche i "sindacati" sono scesi in piazza contro Chavez? Ecco svelato il mistero: Chávez aveva dichiarato di voler "demolire" l'ex Confederazione dei lavoratori del Venezuela, tanto burocratica quanto corrotta, per creare una centrale sindacale "bolivariana"; il governo aveva poi deciso di considerare come rappresentanti della "società civile" solo le organizzazioni non governative (Ong) non finanziate dall'estero. La legge sugli Idrocarburi - l'altra molto contestata - capovolgeva vent'anni di liberalizzazione nell'industria del settore. Nella riforma era prevista la maggioranza del governo nella proprietà di tutte le nuove joint ventures legate al settore petrolifero, e veniva inoltre decretato l'innalzamento delle royalties che le compagnie straniere devono allo stato, passando dall'attuale 16,6% al 30%. Una manovra che va in piena controtendenza rispetto al trend mondiale; negli ultimi anni infatti le potenti compagnie petrolifere erano riuscite, in molti dei paesi produttori di petrolio, a far scendere le royalties che andavano corrisposte ai governi. Una misura che stando ad alcuni commenti riportati dal Financial Times avrebbe inciso sullo sviluppo di molti progetti, rendendoli da un punto di vista economico poco attraenti. E la globalizzazione è appunto questo: niente intralci, boicottiamo gli impiccioni, facciamo crollare l'economia delle nazioni che si pongono di traverso. E Chavez, tentando di coinvolgere l'Opec in questo disegno di recupero del potere contrattuale degli stati, era un impiccione a livello internazionale. L'amministrazione Chavez era considerata un governo radicale, dotata per di più di con un mandato popolare che legittimava riforme di vasta portata. Chavez era un militare, ma democraticamente eletto. L'allora sindaco di Molfetta, Guglielmo Minervini, un pacifista allievo di don Tonino Bello, era andato nel marzo del 1999 a far visita ai molfettesi emigrati in Venezuela. Dichiarò: "Il recente cambio di regime politico che ha condotto al governo il militare Chavez sta suscitato diffuse speranze di moralizzazione della vita pubblica, di giustizia sociale e di stabilità economica".
"PARA LIMPIAR TOTA ESA MIERDA" Ma oggi Chavez viene definito "populista" e basta quella parola per liquidarlo senza neppure sentire il bisogno di spiegare quanto qui abbiamo cercato di raccogliere e raccontare. Di Chavez si racconta la sua storia di colonello golpista del febbraio '92 ma non il suo successivo successo democratico in elezioni libere che, con 57% dei voti, lo avevano catapultato alla presidenza. Con lui partiti e partitini
- prevalentemente nazionalisti e di sinistra - del "Polo
Patriottico"; di fronte a lui il suo popolo, centinaia di migliaia di descamisados in rappresentanza di quell'80% dei 23 milioni di venezuelani ridotti alla fame in uno dei paesi più ricchi del mondo, che l'avevano appena eletto presidente della repubblica "para limpiar toda esa mierda". Dall'altra parte, fisicamente assenti ma presentissimi, gli sconfitti del "Polo democratico" e "il putrido sacco di tutti i corrotti", con dentro gli esponenti del "patto tacito" fra i poteri forti che dalla cacciata dell'ultimo dittatore militare, il generale Marcos Pérez Jiménez nel '58, aveva governato la democrazia venezuelana per 41 anni filati. L'oligarchia, gli imprenditori pubblici e privati, la banca, la burocrazia, i sindacati, i giudici, i militari, la chiesa cattolica e i due grandi partiti tradizionali del duopolio di governo - i social-democratici di Acción democratica e i social-cristiani del Copei - che da allora si erano alternati ogni cinque anni al palazzo stile rococò di Miraflores, e che nelle elezioni del 6 dicembre avevano raccolto, insieme, la miseria di meno del 9% dei voti. Era il 6 dicembre 1998 e Chavez aveva impresso al Venezuela una svolta mediante regolari elezioni monitorate a livello internazionale: per gli Usa c'era Jimmy Carter, l'ex presidente americano in veste di osservatore per elezioni giudicate "a rischio". Ora il golpe fa capire che quelle elezioni non avevano dato buoni frutti, e la Casa Bianca usa oggi il sistema di Vittorio Emanuele II il quale a metà Ottocento avvisava gli elettori che avrebbe fatto ripetere le votazioni se il verdetto non fosse stato di suo gradimento.
PERCHE' VOTARONO CHAVEZ? Ma perché gli elettori avevano scelto Chavez? I venezuelani si chiedevano dove fossero finiti i 300 miliardi di dollari incassati dal petrolio negli ultimi 25 anni. Negli ultimi 20 anni i venezuelani hanno visto evaporare il 70% del potere d'acquisto dei loro redditi. La disoccupazione era al 40%, i bambini e gli adolescenti senza scuola erano il 45%, secondo la Banca mondiale solo il 4% della popolazione aveva accesso alla giustizia. Chavez era stato votato per questa rabbia popolare e aveva portato - dopo le elezioni - il salario minimo da 175 dollari al mese a 190, divorato all'istante dal 40% di inflazione. Aveva cambiato i manager statali del petrolio. Già, aveva toccato quei dirigenti della Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, con salari da 48mila dollari al mese e pensionati d'oro da 24mila dollari. Di chi erano le frodi fiscali e doganali che facevano sparire nelle banche di Miami o Ginevra 6 miliardi di dollari l'anno, l'equivalente dei due terzi del deficit fiscale del '98? E arriviamo ad un'altra pestata di piedi, quella ai sindacalisti corrotti. Molti dei 2000 dirigenti sindacali della poderosa Ctv - la Confederación de trabajadores de Venezuela - erano finiti sotto il torchio "giustizialista" di Chávez: dovevano spiegare perché erano diventati milionari dopo aver firmato contratti di lavoro, dei bidoni per i lavoratori in cambio di favori personali. La confindustria venezuelana - di concerto con questa burocrazia sindacale - è arrivata a pagare la giornata di lavoro a chi manifestava in strada in questi giorni a sostegno del golpe. Sotto la presidenza di Chavez viene revocata l'immunità a vita di politici e deputati accusati di corruzione. Vengono riconosciute garanzie costituzionali alla lingue e culture dei 500mila indios superstiti. Si proibisce la pena di morte, l'ergastolo, la tortura e "qualsiasi pena infamante". Si proibisce la privatizzazione del petrolio. Si riduce la settimana lavorativa da 48 a 44 ore. Si garantisce la proprietà privata subordinandone tuttavia per legge l'uso "all'interesse sociale". Si pongono limiti all'autonomia della Banca centrale. Ai tre poteri classici di Montesquieu, Chavez ne aggiunge un altro, il potere morale, da lui definito "la quarta gamba della democrazia", preso dall'ideario del suo idolo Simon Bolívar, col compito di vegliare sui giudici e contro la corruzione. Disse: "La voce del popolo è la voce di Dio e la voce dell'oligarchia è la voce del diavolo".
DI LUI SI E' DETTO TUTTO Diversi giudizi vennero dati su Chavez: populista, dittatore in pectore, erede di Nasser, nuovo Gheddafi, comunista camuffato, amico di Castro, leader di un governo con troppi ministri che erano stati di sinistra, anti-capitalista, anti-liberista, sognatore bolivariano, visionario terzomondista. Ormai è impossibile verificarne la fondatezza: un colpo di stato lo ha spazzato via.
KEYNES FUORI TEMPO MASSIMO In realtà Chavez ha applicato politiche ispirate a Keynes, finalizzate a una spesa pubblica orientata a stimolare la domanda, e al potenziamento dell'istruzione pubblica e del sistema sanitario. Aveva respinto la privatizzazione del sistema pensionistico. Insomma, sono politiche di una tranquilla sinistra che, alla luce dei tempi globalizzatori, viene dipinta come ingenua e demodé, però è temuta perché è un ostacolo ai desiderata in voga.
INVESTIRE NELL'ISTRUZIONE I consiglieri economici del governo proponevano un modello "umanista, autogestito e competitivo" nel quale "il principale investimento è l'istruzione, ossia il capitale umano". Chávez intendeva spendere in assistenza sociale - scuole, ospedali, case, tecnologia e sicurezza - i circa 2,1 miliardi di dollari che provengono dalle riserve di cambio della Banca centrale del Venezuela (Bcv).
POCO ADDOMESTICABILE Chavez si era rivelato poco addomesticabile. Bush - e con lui i signori della globalizzazione - hanno premuto il bottone e ne hanno decretato la fine. Ma tutte queste cose non ce le spiegano quei telegiornali e quei giornalisti che - loro sì ben addomesticati - si limitano a far apparire un golpe militare come una festosa rivolta di tutto il popolo venezuelano contro Chavez, il populista.
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