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Secondo il Washington Post le vittime sarebbero dieci "Non hanno dato l'ordine di fermarsi, poi hanno sparato" Inchiesta sulla strage a Najaf "I marine hanno sbagliato" Il comando Usa promette indagini ma avverte: "Colpa di Saddam che usa i civili per la guerriglia"
KARABALA - Adesso il comando generale Usa promette un'inchiesta. Un'indagine che spieghi come è stato possibile che dieci persone (secondo la ricostruzione del "Washington Post", mentre i militari parlano di sette) tra cui cinque bambini, siano stati uccisi dai soldati Usa a Najaf. Erano su un furgone incappato in un posto di blocco dei soldati Usa. Quel che è accaduto non è chiaro. La ricostruzione del giornalista del "Washington Post" che si trovava sul posto attribuisce la responsabilità ai militari statunitensi che non hanno impartito in tempo l'ordine di fermarsi. Non solo: anche il bilancio delle vittime dato dal comando Usa, scrive il giornale americano, sarebbe falso: non sette bensì dieci morti. I comando Usa invece punta sulla responsabilità dell'autista che non si sarebbe fermato all'alt e assicura che i militari avrebbero sparato in aria alcuni colpi di avvertimento. Sullo sfondo c'è la "sindrome del kamikaze" che, dopo l´attentato suicida di Najaf, ha seminato il terrore nei militari statunitensi. Proprio quella paura che potrebbe aver fatto perdere la lucidità ai marines e aver provocato la strage di civili. E sempre oggi un uomo disarmato è stato ucciso da marine americani a un posto di blocco a Shatra, nel sud dell'Iraq. I soldati Usa hanno detto di aver crivellato di pallottole il camioncino bianco quando questo ha continuato la corsa verso il posto di blocco . Il camioncino non era carico e non conteneva niente di pericoloso.
Eccolo il racconto di William Branigin, il cronista del "Post" al seguito della terza divisione di fanteria. Il cronista si trovava vicino al capitano Ronny Johnson, che seguiva l'azione con un binocolo sull'autostrada numero 9 e dava ordini al plotone al posto di blocco. Questa la sequenza: all'orizzonte appare la macchina carica di civili iracheni. Ci sono donne e bambini. "Sparate un colpo di avvertimento" ordina Johnson che vede il furgone che continua ad avanzare. L'ufficiale ordina di sparare un colpo da 7.62mm contro il radiatore dell'auto. La situazione precipita. "Smettetela di perdere tempo!" urla il capitano. E' convinto che i suoi ordini non vengano eseguiti con la necessaria rapidità. Quindi comanda: "Fermatelo, Red 1, fermatelo!". Partono i colpi di artiglieria. La strage si consuma. Johnson insulta il capo della pattuglia: "Hai appena ucciso una famiglia, perché non hai sparato colpi di avvertimento abbastanza in fretta!".
La macchina è crivellata di colpi. Dentro ci sono 15 persone. Dieci di loro, (sette per gli americani) dice il "Washington Post", sono morte. Sono momenti strazianti. Una donna resta nella carcassa dell'auto con i corpi dei figli in grembo. Non vuole scendere. "E' la cosa più orribile che ho visto in vita mia - dice il sergente Mario Manzano, 26 anni, medico dell'esercito - e spero non vedere mai più una scena simile in vita mia".
Adesso il comando Usa promette un'inchiesta sulla strage. Ma il capitano Frank Thorp, portavoce del comando centrale, sembra delinearne le conclusioni in anticipo: "I militari americani hanno agito secondo le regole e la colpa è del regime iracheno e del suo uso di civili per operazioni di guerriglia". (1 aprile 2003) [www.repubblica.it]