Bella Giornata il 25 APRILE, ricordo i racconti di mio Nonno, vicino alla
stufa a legna io piccolo lui già vecchio, solo nel corpo, che mi narra
tutta la sua storia , in guerra a 17 anni, vicino a Caporetto, poi la sua
decisione di aderire al Partito Comunista nel '21, l'euforia del sogno che
gli operai e i contadini potessero avere quello che si meritavano, terra,
lavoro, libertà, giustizia, avere una famiglia sobria alla quale non
mancasse niente, ma che niente fosse in più, "perche il troppo non serve",
serve dignità e libertà invece, così con caparbia dolcezza ci ammoniva il
nonno bolscevico.E noi ascoltavamo, assonnati, affascinati, ascoltando la
grande favola della storia, di quel piccolo, sagace, tenero, forte,
uomo,che ci raccontava con il sorriso amaro sul volto scavato dalla sua
storia le normali, banali, storie degli eroi.
Ci raccontava la stupida arroganza dei fascisti, con umile sapienza, la
ferocia dei loro delitti, con dolce pietà, perchè noi piccoli bimbi non
dovevessimo subire la paura che lui provava solo a raccontare, ma dovevamo
comunque sapere, perchè "il ricordare serve per non sbaglire di nuovo",
senza odio, senza rancore ci disegnava il libro, della sua vita della
nostra vita, ricordandoci che siamo tutti uomini, e come tali abbiamo il
diritto ed il dovere di resistere, non per ideologia, ma per la nostra
stessa dignità.
Mi raccontava,lui assieme a mio padre dei morti lasciati nei sentieri del
paese che oggi sono strade asfaltate, massacrati a calci e pugni dai
miltari della decima mas,dalla brigata muti, lo facevano con grazia, con
semplice dolcezza, per non impressionarci, ma per farci sapere, loro, quasi
analfabeti, eccelsi pedagogisti, ci dovevano insegnare la storia, quella
vissuta, non quella letta.
E le ore passavano, i racconti si sommavano sempre uguali , ogni volta
arricchiti da qualche particolare, la battaglia del Sonclino, il comandante
conosciuto ed ospitato, i colpi di mortaio, sordi mortiferi, lugubri, noi
bambini li abbiamo sentiti, nella voce e nelle lacrime di chi li ha sentiti
e sapeva che lassù giovani di venti anni, preferivano morire che essere
portati al Castello di Brescia per essere torturati e poi fucilati al
poligono di Mompiano.Il ricordo degli amici e compagni, che non c'erano,
non ci sono più, e la rabbia che si tramuta in tristezza, per cercare di
non turbarci, di non incattivirci, "perchè i gnari i gà de hai ma mia
patì", perchè era per loro un patimento, rivedere, risentire, riannusare,
rigustare, la miseria del corpo, l'opressione del cuore, la morte della
ragione, ma noi dovevamo sapere!
Le privazioni, non solo fisiche, pur avendo già famiglia la volontà di
risestere, di non fare la tessera annonaria, di non far vestire i propri
figli e figlie da ballilla o da giovane italiana, di non chiedere ai
fascisti,mai, ma del sentire intimo di chiedere ai compagni, agli amici
cattolici, del dare ed ospitare, sfamare per essere sfamato, sfamati.Tutto
ciò valevano le botte, le minacce, il terrore di essere massacrato,
come era già successo ad altri suoi amici e compagni, la notte senza
sonno, pensando che ora mi vengono a prendere, e i miei figli?, l'angoscia
di sapere che la morte la può portare un suo amico d'infanzia, amico di
bagno nel fiume, amico di bevute, ed il viso cambia, diventa rigido, il
nonno bolscevico non vuole raccontare tutto, non racconterà tutto, mai,
perchè deve sopravvivere il perdono.
Poi il 25 aprile, le bandiere rosse, i partigiani che scendono, gli ultimi
colpi di fucile, innocui, incapaci di raccontare quello che è stato, una
boccata di aria a bocca aperta, gli occhi azzurri, con un cerchio nero che
chiude l'iride, del nonno si sciolgono, si innondano di gocce salate, noi
non capimo, sentiamo solo intonare Bandiera rossa, i nostri occhi
cominciano a chiudersi sotto il peso del sonno, sappiamo solo che domani è
il 25 Aprile giorno della LIBERAZIONE e che si farà festa, perchè così è
stato e così sarà.
Walter