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From: <anubi.panter(a)libero.it>
To: <movimento(a)ecn.org>
Sent: Thursday, June 06, 2002 12:40 PM
Subject: [movimento]
>
> PER LA RESISTENZA GLOBALE ALLA GUERRA GLOBALE
>
> PER L'UNIFICAZIONE EUROPEA DELLA LOTTE SOCIALI
>
> PER L'AUTONOMIA E LA CREATIVITA' DEL MOVIMENTO DEI MOVIMENTI
>
>
> LETTERA APERTA DEL MOVIMENTO DELLE E DEI DISOBBEDIENTI
>
>
> Alla società civile,
> Ai movimenti, alle reti e alle singolarità in cammino,
> costruendo un altro mondo possibile
>
> un anno fa, di questi giorni, ci incontravamo in tutte le città
> italiane e del mondo per raccogliere insieme la sfida degli Otto Grandi
> della Terra, attesi per il luglio successivo a Genova. Gli oscuri
> messaggi di intimidazione e repressione raccolti a Gotebor e Barcellona
> non ci fermarono. Non fermarono una mobilitazione che aveva già seguito
> un percorso di continua crescita, da Amsterdam a Seattle, dalla Selva
> Lacandona a Porto Alegre, da Seoul a Bologna, da Johannesburg a Praga,
> dalla stessa Genova a Washington, da Napoli a Quebec City.
>
> Il movimento globale ha affermato come non mai, quel luglio, a Genova,
> la sua novità e la sua singolarità. Movimenti di lotta e cooperazione
> contro il neoliberismo, reti di pratiche libertarie e solidali,
> organizzazioni politiche e sociali e, soprattutto, singole e singoli
> hanno composto, pur con mille difficoltà ed impacci, contaminazione tra
> differenze e determinazione comune. Ha assediato il G8, si è rifiutato
> di riconoscerne l'autorità e per questo ha subito una repressione senza
> precedenti, affidata al governo Berlusconi ed agli apparati di Stato
> italiani e internazionali. Un giovane, Carlo Giuliani, è caduto ucciso.
> Migliaia sono stati perseguitati per le strade. Centinaia sequestrati e
> torturati.
>
> Il movimento globale ha investito l'Italia, la vita delle sue cento
> città: ne ha riempito le piazze diffondendosi proprio contro quella
> repressione, anziché scompaginarsi. Sono state nuove brecce, che
> comunque rimangono, aperte a tutte le articolazioni e alla descrizione
> d'una inedita cartografia del conflitto sociale e d'una nuova
> costruzione civile. Il movimento che s'era evocato adottando il nome
> raccolto dalla prima Porto Alegre, quello dei Forum sociali, quando ha
> conservato lo spirito di Genova, non si è mai espresso come soggetto
> unico ed omogeneo ma come vero e proprio movimento di movimenti.
>
> Quante e quanti si erano ritrovati e riconosciuti nello Stadio Carlini
> di Genova e nel corteo della disobbedienza civile a via Tolemaide, che
> avevano dovuto vedere il sangue di Carlo Giuliani versato sull'asfalto
> di piazza Alimonda, che avevano sofferto insieme la riflessione su
> quella morte subita, decisero di affermare la loro consapevolezza: di
> come quella repressione avesse travolto la pratica scelta, ma anche di
> come un nuovo valore fosse stato generato dall'esperienza, un valore di
> socializzazione e di comune protagonismo, nella disobbedienza al
> dominio e nel rifiuto dell'ordine presente. Hanno affermato la volontà
> di sperimentare un'estensione e una trasformazione della pratica
> disobbediente, che fosse aderente alla produzione di soggettività e ne
> promuovesse il conflitto e il consenso. Ci siamo costituiti per questo
> in Laboratorio della disobbedienza sociale, per condurre e contribuire
> con un nuovo esperimento.
>
> Poi è venuto il tempo della Guerra Globale Permanente. Con la strage
> dell'11 settembre il tragico gioco di specchi in cui si delinea
> l'ordine imperiale dei poteri sulla globalizzazione, la guerra infinita
> con cui riprodurre comando ed esclusione, controllo e separazione, ha
> imposto i suoi abbagli.
> E’ venuta la guerra, ma in Italia il movimento non si è fermato: ciò
> che da Genova era fluito riuscì a declinare il contrasto al governo
> capitalistico della globalizzazione e alle sue politiche neoliberiste
> con quello al loro strutturale compendio, un ordine di guerra, militare
> ma anche economica e sociale, arrivando fino alla seconda Porto Alegre.
>
> Proprio in faccia alla ferrea ricodificazione della guerra permanente,
> la capacità di iniziativa del movimento ha esibito elementi di un
> nuovo ciclo di conflittualità. In quel momento, centinaia di migliaia
> non cessarono di dimostrare la nuova capacità di radunarsi nelle stesse
> strade, e sul medesimo cammino, a manifestare un'insorgenza di milioni:
> contro la guerra come contro gli attacchi del padronato industriale al
> lavoro, contro l'aziendalizzazione dell'istruzione come contro le leggi
> razziste.
>
> Il movimento era andato oltre quegli stessi spazi che si era dato,
> abitando le scuole e gli atenei, le fabbriche, le baracche e le filiere
> produttive del lavoro migrante. Ha diffuso la sua autonarrazione,
> dispiegando gli strumenti della comunicazione indipendente,
> sottraendosi ai monopoli di quella ufficiale, ma anche aprendovi
> fronti. Ha oltrepassato la stessa rete di relazioni di una società
> civile divisa dal saliente della guerra come da una spada, e si è
> espresso come insieme di movimenti sociali. Al cospetto del
> nuovo ordine di poteri, che le destre interpretavano in Italia. Fuori e
> oltre la palude della sconfitta lasciata da quanti a Genova non erano
> voluti venire, e di cui ora il movimento investiva le basi di consenso,
> dove si producevano ulteriori pratiche di mobilitazione.
>
> Noi stessi, realtà e luoghi dove l'esperimento della disobbedienza
> sociale si era inizialmente prodotto, trovammo che essa era diventato
> un nome comune dell'insubordinazione. L'esperimento si era diffuso,
> disseminandosi in nuove reti e in una rinnovata produzione di soggetti,
> motore di conflitto. Da qui la decisione di riconoscerci movimento tra
> i movimenti, per porre a valore questa differenza e questa diffusione:
> movimento delle e dei disobbedienti.
>
> Poi, ancora, non siamo stati più soli. Dopo tre scioperi generali del
> sindacalismo di base, dopo l'evocazione disobbediente del tema della
> lotta generale per i diritti, dal movimento studentesco a quello, nuovo
> e importante, delle e dei migranti, si è imposto finalmente
> all'orizzonte lo sciopero generale delle grandi confederazioni e un
> grande, per quanto obbligato, ritorno alla lotta della maggiore, la
> Cgil. Il conflitto sociale, ridislocato e rideterminato dal movimento
> di Genova, ha preso corpo e trovato la sua punta di lancia sul terreno
> dello scontro diretto tra capitale e lavoro, e nelle stesse
> articolazioni tradizionali di questo.
>
> Un quadro diverso, che ha posto al movimento di movimenti altre
> interrogazioni, altre esigenze di prospettiva. Una riflessione che,
> però, si è dispersa, sulla traccia complessa di un filo resosi nei
> fatti meno visibile: quello della natura globale del movimento e della
> globalità del tema che aveva posto, la decisione comune.
>
> Noi stessi, disobbedienti, abbiamo interpretato questo limite: ad
> esempio, sottraendoci fino ad oggi al percorso verso il primo Foro
> sociale europeo, fissato nell'ultima Porto Alegre proprio in Italia, a
> Firenze, per il prossimo novembre. Così come l'intero movimento
> italiano ha segnato la sua assenza da un appuntamento che proprio di
> quel percorso avrebbe dovuto rappresentare la prima occasione pratica:
> il controvertice di Barcellona, che ha superato lo stesso tetto di
> partecipazione toccato da Genova. Mentre già si affaccia una nuova data
> europea, quella del controvertice di Siviglia contro la piattaforma
> anti-sociale dell'Ue, e torna il rischio d'un mancato incontro da parte
> dei movimenti italiani.
>
> Noi disobbedienti, pur in presenza dell'esperienza straordinaria
> compiuta con la partecipazione alla Carovana di Action For Peace in
> Palestina e all'affermazione in essa d'una nuova azione contro la
> Guerra Globale Permanente, attraverso l'ingaggio di corpi e linguaggi
> pratiche di protezione diretta dei civili e di diplomazia dal basso,
> abbiamo riscontrato questa difficoltà. Non ci si è saputi sottrarre ai
> termini vecchi e angusti della mobilitazione classica e rituale che non
> poteva che favorire chi ha sempre sperato nella morte e non nella
> vitalità dei movimenti. Non si è saputo riportare l’innovazione, in
> termini di pratica e di pensiero, rappresentata da ciò che avevamo
> imparato nel cuore della Guerra. Le lacerazioni che si sono verificate
> in Italia sono state un regalo all'apartheid di Sharon e allo sviluppo,
> senza troppi intoppi, in Israele d'uno dei nuovi e piu’ avanzati
> laboratori della medesima Guerra Globale.
>
> Lo sciopero del 16 Aprile per noi doveva diventare da
“generale” a
> “generalizzato”. Grazie a questo concetto, che di fatto è
divenuto
> un’idea forza assunta da tutte e tutti, si è riusciti finalmente a
dare
> corpo e anima al vecchio ragionamento sullo sciopero di cittadinanza.
> Non è cosa da poco anche perchè innervata nella ricomposizione delle
> vecchie e nuove figure del lavoro resa possibile dalla lotta per
> l’art.18 assunta come lotta per i diritti, quelli che il governo
vuole
> sopprimere o non riconoscere.
> Le iniziative di generalizzazione prodotte nella giornata dello
> sciopero del 16 aprile, per quanto ci compete recano un bilancio di
> diffusione straordinaria di azioni di disobbedienza sociale, anche se
> confermano che quando la gestione è troppo timida nell'articolare un
> discorso che proponga le differenze come parte viva, visibile e
> conflittuale per la contaminazione e la ricomposizione dentro la
> moltitudine, prevale la divisione in percorsi che alla centralità del
> conflitto antepongono l'insegna, proclivi ad un approccio ridotto alla
> nicchia e alla delimitazione.
>
> Nella recente scadenza delle elezioni amministrative, diverse realtà
> disobbedienti si sono impegnate in alcuni percorsi, tra loro
> differenti, di incursione in quel passaggio, ad un livello piuttosto
> prossimo e incombente sulla quotidianità dell'agire delle reti sociali,
> il livello dei nessi amministrativi; e al cospetto delle problematiche
> poste sul terreno dello sviluppo del movimento, ossia il rapporto tra
> la sua autonomia - e singolarità - e lo spazio presente della politica,
> la crisi degli statuti di questa e i temi e le pratiche imposti dal
> ciclo di mobilitazioni di quest'anno. Nel contesto, peraltro, di un
> tentativo - non solo italiano - di riorganizzazione del consenso
> intorno alla sinistra moderata e alla sua ipotesi di governo temperato
> della globalizzazione neoliberista, proprio quando il suo disastro
> tocca il massimo e più che mai pericoloso grado di conferma in Europa.
> Le sperimentazioni, differenti anche negli esiti, confermano per noi la
> centralità del tema del municipalismo, delle articolazioni che esso
> porta con sè, come gli elementi di partecipazione e democrazia diretta.
> Come altri dati che, grazie al fatto che le sperimentazioni qualcuno le
> fa, senza paura di essere “scomunicato”, ci hanno consegnato
un quadro
> che dice chiaramente che un conto è parlare di “crisi della
> rappresentanza”, un altro quello di dare per scontato che questa
> situazione provochi la “crisi dei partiti”. Un conto è dire
che i
> simboli dovrebbero essere superati e non diventare un feticcio, ed un
> altro è dire che questo è già accaduto. I simboli ed i partiti, in
> queste elezioni, contano, e contano molto. La stessa discriminante
> contro la guerra, non ha inciso minimamente sulla raccolta di consensi
> che si è determinata sull’antiberlusconismo in massima parte. Le
> riflessioni sono aperte ma certo è che i nodi sono tutti da sciogliere
> e le strade tutte da percorrere. E’ chiaro che poi una rete di
> amministratori, consiglieri di comuni grandi e piccoli che hanno come
> priorità lo sviluppo di percorsi di rottura in senso municipale, oggi
> esiste. Ne rivendichiamo tutta la positività e la potenzialità.
>
> La mancata mobilitazione dei movimenti in occasione dell’arrivo di
> George Bush II a Roma e per il vertice Nato-Russia a Pratica di Mare,
> crediamo debba essere utilizzata da tutti per aprire una riflessione.
> Come disobbedienti partiamo dall’ autocritica, ma la delusione per
non
> essere noi riusciti, in primo luogo, a fare la nostra parte, non può
> nascondere che i problemi sono di natura anche generale e riguardano
> tutti. Sono secondo noi di almeno due ordini: uno riguarda il
> meccanismo di riconoscimento, condivisione, attrazione dei social
> forum. Secondo noi oggi è necessario dire con forza che quello che è
> importante è lo spirito di Genova e non un logo, tra l'altro ormai
> incapace di attrarre, di diventare motore come fu per alcuni mesi.
> Dobbiamo superare l’idea che è “irrigidendo” o
mantenendo
> burocraticamente il simulacro dei luoghi di movimento, si fa movimento.
> Dobbiamo uscire da noi stessi, ritrovarci perchè ne sentiamo il
> bisogno, perchè c’è un sacco di gente che partecipa, condivide, si
> sente coinvolta. Potremo stare a discutere per molto tempo sul perchè
> il meccanismo del social forum in moltissime parti del paese è divenuto
> uno strumento inservibile. In altre realtà, piu’ piccole in genere,
è
> divenuto il primo ed unico luogo e forse per questo ha mantenuto la sua
> capacità di essere reale. Però dobbiamo cominciare a dircelo, senza
> paura che questo significhi la fine dello “spirito” di Genova.
> Trasformare i social forum in una sorta di modellino preconfezionato
> e scontato non ha fatto bene al movimento. Cominciamo col dire che i
> luoghi, gli spazi pubblici sono molteplici e funzionano se sono in
> grado di attrarre, volta per volta, di misurarsi con il convincimento e
> con la capacità di produrre azione politica, conflitto e consenso.
> Togliamo questa sacrale inerzia dai nostri modi di fare. Ne avremo
> tutti un beneficio.
> L’altro grande problema è la piazza. Non possiamo nasconderci che il
> limite è anche di natura profondamente materiale e politico allo stesso
> tempo. Cosa saremmo stati in grado di proporre come azione collettiva a
> Pratica di Mare? Un’altra grande e ordinatissima sfilata? Dopo
Genova,
> dopo quello che è accaduto, noi dobbiamo fare i conti con questo. La
> pratica dell’illegalità, cioè della produzione dal basso di nuova
> legalità contrapposta alla legge ingiusta dell’Impero, sia essa
> limitazione della libertà di manifestare o imposizione di politiche
> criminali che provocano la morte a milioni di esseri umani ogni anno,
> non è un nodo “tattico” e tantomeno “tecnico”. Da
quel blocco
> dell’accesso del Wto round di Seattle nel 99 a Genova, questo siamo
> stati capaci di fare. Dallo smontaggio del Mc Donald’s operato da
Bovè,
> a quello del centro di detenzione per migranti di Bologna, questo
> abbiamo fatto. Liberare il desiderio di cambiare e produrre senso nel
> farlo, pensare al rapporto con la legge, l’ordine costituito come un
> rapporto non immutabile. Questo significa per noi anche forzare il
> ruolo, la delimitazione, di concetti come società civile, fare società,
> conflitto, consenso, trasformazione. Dopo Genova abbiamo ragionato poco
> su questo. Salvo poi ritrovarci in Palestina a dover fare i conti
> esattamente con lo stesso problema, nelle azioni dirette di protezione
> dei civili. Quindi crediamo importante porre a noi per primi e poi a
> tutti la domanda. La risposta, è chiaro, non può che essere frutto di
> grandi contaminazioni.
>
> Adesso, bussa alle porte l'appuntamento con la settimana della Fao a
> Roma, indicato ancora una volta dal Foro sociale mondiale di Porto
> Alegre: sarà come sempre una nuova occasione di verifica, a partire
> dalla manifestazione internazionale dell'8 giugno, la prima in Italia
> dopo Genova, e dalle azioni decentrate fissate per quei giorni e cui
> comunque, al di là delle date, ci sentiamo chiamati per affermare il
> rifiuto del controllo del WTO sulle politiche agricole e
> dell'alimentazione, dell'uso dei brevetti delle multinazionali, del
> potere sulla vita esercitato duplicemente con l'estensione del
> transgenico.
>
>
> PER L'AUTONOMIA E LA CREATIVITA' DEL MOVIMENTO DEI MOVIMENTI.
>
> Vorremmo che si aprisse su questi punti un dibattito pubblico.Una
> consultazione che investa di discussioni e bilanci tutte le realtà
> presenti fin qui nella nostra sperimentazione, con la quale riprendere
> il lavoro interrotto d'una nuova mappa del conflitto e delle
> pratiche disobbedienti, a partire dai laboratori locali che dovranno
> rendersene protagonisti; e nel cui corso nessuno più parlerà per le ed
> i disobbedienti, ma come disobbediente, con tutta la propria
> peculiarità. Mentre l'agenzia di comunicazione, strumento di cui ci
> siamo dotati per la relazione interna ed esterna e per la verifica
> delle decisioni, resterà come riferimento di servizio per la
> consultazione stessa, strutturandosi via via intorno ai suoi risultati.
>
> Una consultazione attiva, perché siamo consapevoli che solo un rilancio
> dell'azione disobbediente potremo contribuire al rilancio della
> dinamica conflittuale complessiva del movimento dei movimenti.
> Come pure parteciperemo alle giornate di Siviglia per avviarci su un
> nuovo cammino di relazioni pratiche continentali, tra disobbedienze
> diverse, capaci d'iniziativa comune: affinché il passaggio del Foro
> sociale di novembre a Firenze, nel cui percorso di costruzione sia pure
> tardivamente ci immetteremo adesso, non sia foriero di rinnovate
> separatezze nel movimento e sopra di esso, ma invece sia un passaggio
> davvero fondamentale PER L'UNIFICAZIONE EUROPEA DELLE LOTTE SOCIALI.
>
> Una consultazione attiva, perché sarà rivolta fuori di noi. Per aprire
> la discussione sulle forme e le pratiche della decisione comune nel
> conflitto, a fronte della moltiplicazione delle possibilità e dei
> soggetti del suo esercizio, nei mesi a venire. Per aprire la
> discussione su come questa decisione comune possa calcare il cammino
> della costruzione di momenti e luoghi aperti di democrazia radicale.
>
> Attiva, perché dovrà non interrompere ma proseguire e vivificare gli
> esperimenti di disobbedienza sociale, anzitutto rivolgendosi
> all'universo delle disobbedienze che non si nominano tali ma anche
> facendo valere una soggettività di movimento capace di sostenerle.
>
> Specialmente, attiva nel produrre la verifica di nuovi percorsi di rete
> intorno alla proposta di reddito sociale garantito, e della sua
> capacità di legarsi alla moltiplicazione di istanze di conflitto nella
> combinazione delle figure del lavoro vivo, di recare un apporto al
> proseguio della lotta per l'unità del lavoro organizzato e del
> precariato sociale che lo attraversa e lo circonda.
>
> Attiva, ancora, nel proseguire la sperimentazione della disobbedienza
> sul fronte centrale nel futuro della battaglia sui diritti, sul fronte
> del movimento del lavoro migrante, rilanciando le azioni contro i
> Centri di permanenza temporanea e inserendole nel contributo a quella
> nuova contro la legge Bossi-Fini e contro la discriminazione ed il
> sicurismo sociale.
>
> Attiva nel fare del Movimento di Massa Anti Proibizionista un vettore
> di iniziativa socializzata a tutte e tutti i disobbedienti, per
> spingere avanti l'attivazione dei soggetti e del conflitto contro la
> solidificazione degli strumenti d'ordine della società di controllo.
>
> Attiva, infine ma non per ultimo, perché a Genova noi intendiamo che
> vengano realizzate assemblee del movimento dei movimenti, davvero
> aperte all'esibizione della sua capacità conflittuale, senza timidezze
> né gelosie né prevaricazioni né sottintesi, ma per rilanciarlo oltre
> ogni limite riscontrato e guardando ai soggetti reali. E perché
> intendiamo che la giornata del 20 luglio, a Genova, ad un anno dalla
> sua uccisione veda ancora con noi Carlo Giuliani, in una nuova vera
> manifestazione globale, non già per invocare ma per affermare, con gli
> occhi e le voci di tutti e in tutte le lingue del pianeta, due semplici
> parole: VERITA' E GIUSTIZIA!
>
>
> Da un luogo indifferente, Italia, Europa, Pianeta Terra
> Maggio-Giugno 2002, anno secondo della Guerra Globale Permanente
>
>
> MOVIMENTO DELLE E DEI DISOBBEDIENTI
>
>