querid*s tod*s, vi giro una proposta contro la guerra di cui ho parlato ieri pomeriggio con felice e ieri sera con mimmo e che è girata nei gg. scorsi sulla lista "glt nonviolenza" di lilliput (e forse su "bastaguerra" e altre) ma che nella "colata lavica" di mail che arrivano quotidianamente non trovavo più...
hasta la paz siempre! elena
p.s. : lilliput si trova stasera alle 20,45 al centro per la nonviolenza di via milano 65; plenaria -come sempre- aperta a tutt*
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
[...] infine, una proposta giunta dalla Spagna, di cui ho già parlato anche al Comitato 'Fermiamo la Guerra' e che trovo molto bella...
ciao enrico euli
PROPOSTA
Per fermare la guerra, fermiamoci.
Come tanti altri hanno già fatto, sento il bisogno di manifestare la mia contrarietà alla guerra: a questa che si prepara contro l'Irak e a tutte le altre che hanno origine nella logica della superiorità, nella volontà di controllo unilaterale di una parte sulle altre, nel bisogno di mantenere il dominio del potente sul più debole. Voglio dichiararmi contrario alla guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali e anche interpersonali, dato che la scala può essere diversa ma l'atteggiamento è lo stesso. Si comincia una guerra quando non sono disposto a riconoscere che l'altro è tanto persona quanto me; quando proietto su di lui/lei tutta la negatività che ho dentro, o quando utilizzo i suoi errori come scusa per giustificare i miei. In definitiva, mi oppongo alla guerra tanto fuori come dentro di me, in una presa di posizione pubblica che è anche ricerca personale quotidiana.
Stiamo davanti ad un momento cruciale per gli esseri umani. Alcuni, pochissimi, dovrannno decidere in nome di uno stato che, in teoria, rappresentano. Altri, la gran maggioranza, lo fanno unicamente in nome proprio. Vedremo se i primi sono anche capaci di ascoltare i secondi. Ciò che è chiaro è che il si o il no alla guerra definiscono due nozioni d'umanità differenti. L'uno o l'altro segnalano un orizzonte ed un terreno diverso per i valori, le regole del gioco, il modello di convivenza. Ciascuno di noi, in un modo o nell'altro, dovrà pronunciarsi.
Come sappiamo, ciò che sta in gioco in questa guerra annunciata contro l'Irak è l'attuale sistema di dominio globale, nella sua nuda brutalità. I potenti dipendono dalla possibilità di continuare a sfruttare, in modo diretto o indiretto, dei subordinati che non considerano come loro uguali (e neppure loro simili). Il mondo attuale si è configurato in base a questo squilibrio, e alla lotta per conservarlo: inizialmente attraverso il dominio militare, e poi quello economico, tecnologico e finanziario. La forma è cambiata, ma non la sostanza. Un numero riduttissimo di umani accumula e gestisce la stragrande maggioranza delle risorse. Ed è disposta a fare la guerra ed a calpestare qualunque cosa perchè la situazione si mantenga.
Per altro verso, sappiamo anche che non si può estendere il nostro tenore di vita a tutti gli abitanti del pianeta. La pressione sull'ecosistema sarebbe eccessiva. Il modello di vita che ci rende prosperi è insomma insostenibile. Questo è un altro aspetto cruciale nella disgiuntiva tra pace e guerra: perchè la scelta della pace ci richiede di essere disposti a rinegoziare i nostri previlegi. "Dobbiamo vivere semplicemente, perchè altri possano semplicemente vivere", in parole di Gandhi. Si tratta di decidere se lo accettiamo, o se preferiamo mantenere i previlegi, sia pure al prezzo di una guerra.
Pur avendone fatte e sofferte molte, sembra che ci si dimentichi sempre di quale lacerazione introduca la guerra nel tessuto delle nostre vite: significa perdita degli esseri amati, rottura delle relazioni, privazione di cultura, libertà, scambi, bellezza, futuro. Per questo le persone non vogliono la guerra, neppure qualora ricada su altre persone o popoli che vivono, lavorano, desiderano ed amano come noi. Per questo, come persone, ci manifestiamo chiaramente contro.
Eppure, visto che non è affatto sicuro che il clamore popolare sia stato sufficiente per fermare la macchina della guerra già avviata, penso che, come persone, dovremmo prepararci per fare qualcos'altro. Qualcosa che ci aiuti insieme a superare l'inevitabile sentimento di impotenza che si prova in simili circostanze, quando sembra che "non si può fare niente" davanti alla disparità delle forze in gioco.
Gandhi, nella sua lotta per l'indipendenza dell'India, propose una azione che sempre mi ha colpito per la sua semplicità, semplicità ed efficacia: chiese al suo popolo una giornata di digiuno e di preghiera, un giorno intero d'inattività completa. Questa iniziativa paralizzò completamente il paese, e mise in evidenza la debolezza dei "potenti" inglesi, che dipendevano dalla collaborazione dei loro sudditi per far funzionare la loro struttura di dominio. "Non fare niente" non era più, in questo caso, una forma d'impotenza, bensì un modo di recuperare il proprio potere e dignità come persona e come popolo.
Nel nostro caso, dopo aver spedito e-mails, firmato appelli, scritto lettere ai giornali, appeso striscioni ai balconi e manifestato in piazza, c'è un'altra cosa che possiamo fare per fermare la guerra: e cioè semplicemente fermarci. Rinunciare a fare, per un giorno, qualunque tipo di normale attività. Non fare acquisti, non viaggiare (se non a piedi o in bicicletta), non guardare la televisione, non connettersi ad Internet, non usare il telefono. Per una breve lunga giornata. Così facile e così difficile.
La proposta di Gandhi era rivolta a un popolo profondamente religioso ed estremamente povero. Qui da noi, saranno pochi quelli che vorranno, o saranno capaci, di trascorrere un giorno di concentrazione e digiuno, come gesto concreto a favore della pace. Però è sufficiente se dedichiamo questa giornata per stare insieme alle persone care, parenti o amici con cui possiamo riunirci senza bisogno di usare veicoli a motore. Non c'è neppure bisogno di digiunare: si tratta piuttosto di dedicare del tempo a cucinare un buon pasto usando quel che abbiamo nella dispensa, senza fare altri acquisti, almeno per un giorno. È consigliabile invece fare un digiuno d'informazione via mass-media; val la pena mettere da parte gli apparecchi e recuperare la comunicazione diretta e personale: conversare, leggere in compagnia, o magari scrivere lettere a persone per noi importanti. In definitiva, si tratta di ritrovare un giorno del nostro tempo per tessere questa ragnatela di fiducia, sensibilità, intelligenza e affetto tra persone, che credo sia l'unica "arma di costruzione di massa" che possiamo opporre alla guerra. Prenderci una giornata per percepire ciò che abbiamo, per renderci conto dell'abbondanza di cui siamo circondati e poter distinguere tra l'essenziale ed il superfluo.
Propongo il 2 marzo. Sarà una domenica. Sarà probabilmente un giorno decisivo. Se ti piace quest'idea, puoi metterla in pratica e farla circolare. Se sei capace di tradurla ad un'altra lingua, sarebbe fantastico, potresti farla circolare anche in altri paesi. Il vantaggio della proposta è che non ha un costo economico e si può mettere in pratica senza chiedere permesso a nessuno. Il suo risultato positivo lo avvertirà anzitutto chi la mette in pratica. E le sue conseguenze sarebbero senza dubbio enormi, se potessimo farlo tutti insieme, con lo stesso livello di partecipazione che si è registrato il 15 febbraio scorso. Perchè c'è una cosa che il sistema della guerra non è capace di fare nè di sopportare in alcun modo: fermarsi. E invece le persone si. Anche in questo sta una parte del nostro potere, che ancora non ci possono prendere.
stefano