Interessante scoprire un giorno che quanto previsto per l´organizzazione dei rapporti tra il popolo e, dei popoli fra loro non è argomento che si possa dirimere,così come previsto, nel rispetto delle fonti del diritto ma, piuttosto, disquisizione legata all´interesse di questa o quella parte. La difesa della legalità è l´arma che il nostro governo (purtroppo non solo) utilizza per demonizzare i movimenti che, dopo la manifestazione di sabato 15 febbraio per la pace "senza se e senza ma", hanno deciso,ognuno con le proprie modalità ma nell´assoluto rispetto di pratiche pacifiche, di proseguire la protesta contro la guerra. Probabilmente, concediamo il beneficio del dubbio, il governo non conosce, o non vuole applicare, il sistema normativo alle proprie decisioni. E´ fatto indiscutibile l´esistenza di una Costituzione della Repubblica Italiana, che guarda caso, è anche fonte del diritto da cui deriva il sistema normativo e che, all´articolo 11,afferma inequivocabilmente: L´Italia ripudia la guerra! Sin troppo facile dimostrare chi per primo ha infranto la legalità. E´ ora necessario mettere in discussione la legittimità di un governo che non garantendo più la solidità delle sue origini (Costituzione) non è più rappresentativo di quel popolo che su queste si è formato. I valori espressi all´interno della costituzione, in primis l´uguaglianza di fronte alla legge, vengono calpestati dagli stessi che ne dovrebbero essere garanti. Si innesca così un processo non legittimato dall´identità cittadino , ma basato sulla legge del più forte, che si allontana così anche dai concetti più elementari che sottendono all´ideale della democrazia anche se rappresentativa: lo stato è costituito dal popolo di cui il parlamento è rappresentante, non strumento di repressione . "... Non esiste prepotenza peggiore di quella che sfrutta il potere offertogli dalla collettività"; mai pensiero fu più eloquente per rappresentare quella parte di popolo civile che non si rassegna all´ineluttabilità della guerra.
Una guerra, al momento solo annunciata, ma che già riduce gli spazi di democrazia, impedendo il libero esercizio del dissenso.
Sul piano internazionale il riassetto degli equilibri economici mondiali si sta delineando in una serie di conflitti armati, che prevedono l´occupazione di quei territori in cui si concentrano gli interessi di poche multinazionali.
Sembra di secondaria importanza l´aspetto della presenza , in questi territori, di intere popolazioni, e degli "effetti collaterali" che le eventuali guerre, inevitabilmente,riverserebbero su di esse.
Il rischio è quello di una palese sottrazione di sovranità degli stati in favore dell´interesse del nuovo capitalismo che, con la legittimazione di questa guerra reinnesta la logica delle guerre di colonizzazione, per annullare ogni resistenza alla logica del profitto.
Il quadro fin qui presentato non è che l´inizio di un percorso miope corroborato dall´ impotenza cui si sta tentando di relegare l´opera di mediazione internazionale e con essa gli organi preposti a tale scopo.
Non una base, non un uomo, non un lavoratore per questa guerra !
Questo lo slogan di coloro che intendono disobbedire a questa guerra.
Siamo lavoratrici, lavoratori, madri, padri, figli e per questo non comprendiamo la logica di chi pretende di massacrare madri, padri, figli, per il nostro "bene"!
Abbiamo visto l´esito delle guerre umanitarie, delle campagne contro il terrorismo, della liberazione dei popoli dagli oppressori spesso imposti.
Pensiamo che, il presupposto per lo sviluppo della democrazia , sia favorire il terreno, il tessuto sociale atto a far si che questa si realizzi. Non parliamo certo di guerre d´occupazione e tanto meno di embargo che, nel caso specifico, ad altro non è servito se non a rafforzare il consenso per Saddam Hussein e ad incrementare l´odio per l´occidente .Pensiamo altresì all´efficacia dei progetti di cooperazione internazionale, intrapresi , tra mille difficoltà ,sulla base di politiche di collaborazione fra i popoli.
Il 15 febbraio ha dimostrato che mai un conflitto è stato così lontano dal sentire comune delle persone ,anche dello stesso popolo americano. Per questo, se mai ce ne fosse stato bisogno, riteniamo questa guerra, come tutte le guerre, ancora più distante da ogni possibilità di comprensione.
Per questi motivi ci dichiariamo tutti disobbedienti, facendo nostra la massima che : "obbedire non è più una virtù"( nel caso specifico significherebbe essere complici dei carnefici), per questo ognuno di noi disobbedirà seguendo le sue caratteristiche specifiche e nell´assoluto rispetto delle pratiche della non violenza, per ripristinare la legalità dei popoli, infranta dallo stato e soprattutto perché la vita diventi un valore ovunque indiscutibile.
il collettivo delle studentesse lavoratrici e
degli studenti lavoratori
del liceo serale Veronica Gambara di Brescia